La partita-chiave di Alfano «Mai più con il coltello alla gola»

Loading

ROMA — «Eccomi presidente, sono il traditore. Mi consegno». Ed è così che Alfano ha salutato ieri mattina Berlusconi, un po’ per indurlo al sorriso e un po’ per rimarcare il modo in cui era stato etichettato sul giornale di famiglia. Certamente il Cavaliere, conoscendolo, avrà colto il non detto che stava dentro la battuta sicula di «Angelino». Di sicuro gli ha sorriso, un istante prima di comunicargli la decisione di votargli la fiducia. Perché è ad Alfano, non a Letta, che il leader del Pdl ha dato il suo consenso, un po’ per salvarsi ma anche per salvarlo. Se infatti avesse girato le spalle a un governo ormai autosufficiente, il Cavaliere si sarebbe «condannato all’isolamento» — come ha spiegato a quanti lo pregavano di votare contro — ma avrebbe anche lasciato Alfano a navigare in mare aperto, dove si sa, non c’è taverna.
Ecco qual è la conclusione dello scontro nel centrodestra, che a sua volta è un punto di partenza. Alfano sa di aver vinto il primo e forse ultimo congresso del Pdl, che si è tenuto in Parlamento. E sa di averlo vinto contro Berlusconi, indotto all’errore da chi aveva assicurato al Cavaliere una vittoria certa. Ma per quanto si tratti di un successo storico, per ora è una vittoria sulla carta, siccome sono molti e molto complicati i tasselli da comporre per centrare davvero il risultato. Perciò ieri sera il vicepremier ha rinviato l’incontro con il capo del centrodestra, in modo da verificare quali sono i rapporti di forza nel Pdl, prima di avviare o meno la trattativa con Berlusconi. E lui, il «presidente», che aveva chiesto di vederlo, ha compreso la mossa del «traditore».
Ridurre la vertenza a una questione di poltrone nel partito, vorrebbe dire non aver capito ciò che Alfano spiegò al Cavaliere quando l’altro giorno rifiutò l’offerta di guidare la futura Forza Italia: il punto è la linea politica del nuovo movimento, siccome «Angelino» è stanco di sentirsi «il coltello puntato alla gola», è stanco dell’«estremismo» di chi vorrebbe occupare aeroporti e stazioni contro l’ingiustizia di una giustizia politicizzata, sebbene sia convinto che Berlusconi sia «vittima di un accanimento giudiziario», e abbia intenzione comunque di difenderlo, «perché la sua storia è anche la mia storia». In sua difesa si era mosso l’altro ieri, per evitare lo strappo dal governo, seguendo le indicazioni e le richieste del Cavaliere: «Enrico Letta come prima cosa deve annunciare di respingere le vostre dimissioni da ministri». Così era stato fatto. Tranne poi ripetere per telefono a Quagliariello — a notte fonda — quanto gli aveva detto poco prima l’avvocato Ghedini: «Mi vogliono arrestare. Ma non lo faranno se divento il capo dell’opposizione».
Davanti a questi cambi repentini, Alfano non poteva ieri mattina accettare di presentarsi davanti ai gruppi del Pdl — come gli aveva chiesto Berlusconi tramite Gianni Letta — per spiegare la sua decisione di votare la fiducia a Enrico Letta. D’altronde il processo gli «amici» di partito glielo avevano già fatto la sera prima, con tanto di sentenza. «E io sono stanco di sentirmi il coltello puntato alla gola». Con la forza dei numeri al Senato, «il traditore» ha indotto «il presidente» a cambiare linea e (forse) a cambiare uomini. Ce n’è la prova, nella riunione pomeridiana alla Camera, quando Berlusconi ha zittito chi lo incitava di nuovo contro i secessionisti: «Basta, vi prego. Lo capite che se ne stanno andando i migliori? Sto lavorando per l’unità del partito. Voi fate quello che volete».
L’idea dell’«unità» non contrasta con la tesi che «senza di me il Pdl era sceso al 12%», anzi: sintetizza semmai il concetto che — con il voto di fiducia al Senato — il Cavaliere ha inteso salvare se stesso ma anche Alfano, a cui non può non interessare quello zoccolo duro di elettori che resiste ancora attorno al fondatore del Pdl, che si è ridotto e si è anche incanutito, ma che è determinante per riportare il centrodestra alla vittoria. Per riuscirci, la rivoluzione di velluto è preferibile allo strappo? Se «Angelino» ha deciso di prender tempo è perché non vuole commettere passi falsi, vuole cioè verificare che l’eventuale ritorno nella casa del padre non sia l’ingresso nella tana del lupo. Perciò rifugge dai tic «estremisti» che si scorgono anche tra quanti l’hanno seguito e vorrebbero subito autonomizzarsi da Berlusconi.
Gli serve tempo e gli serviranno garanzie: se così sarà, farà il passo, sebbene Enrico Letta gli chieda di marcare la distanza dal Cavaliere. Ma Alfano non si fa condizionare, così come l’approccio con Berlusconi si è fatto adulto, nonostante i retaggi del passato si scorgano ancora nelle loro conversazioni. Quella che sembrava fosse l’ultima, due sere fa, era stata struggente: «Angelino, si sa, la politica è una cosa difficile e a volte brutta. In ogni caso sappi che la porta per te resterà sempre aperta e che la casa di Lampedusa è tua». «Presidente, la prego. Ci pensi ancora questa notte». E il «presidente» ci ha pensato. Ha dato la fiducia al «traditore» .
Francesco Verderami


Related Articles

Il Pdl prepara l’impeachment contro Fini

Loading

“Sul caso Papa agisce da cinico burocrate”. Il leader Fli: rispettata la Carta. Con l’addio di Gava centrodestra in minoranza nella giunta per le autorizzazioni 

Il circolo del potere

Loading

Quei club nella Roma che conta dove nascono affari e presidenti.    Palazzinari, burocrati, imprenditori e star Nel braccio d’acqua della capitale fra il Tevere e l’Aniene, si raduna una formidabile concentrazione di upper class: ecco i circoli in cui ci si dà  del tu e si coltiva il potere. Dopo Tangentopoli la crisi d’immagine colpì tutti i templi del ceto borghese, anche i più antichi. Gli scambi di favori e le fedeltà  sono il collante di un’idea del Paese basato sulla cooptazione  

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment