Dal Pdl, «guerriglia» su tutto «E Bindi deve dimettersi»

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ROMA — Prima l’affondo sulla nuova presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi, che se non si dimette «sarà guerriglia» in Parlamento. Poi il catenaccio sul decreto legge per la pubblica amministrazione che deve essere convertito entro mercoledì prossimo ma «per noi può anche decadere». Infine il richiamo al presidente Enrico Letta su cosa intenda fare per la riforma della giustizia e per dare corpo al messaggio del capo dello Stato su amnistia e indulto.
Il giorno dopo il nuovo rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi, Renato Brunetta, capogruppo del Pdl (tendenza falchi), parte all’attacco del governo e dei suoi alleati nella maggioranza, il Pd. Un triplice affondo che fa dire al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini (Pd), che il «quadro politico è cambiato», allargando le crepe nella maggioranza. «Andare avanti così è davvero difficile», dicono tra Palazzo Chigi e Montecitorio, mentre dal partito la replica arriva dal vice capogruppo pd alla Camera, Andrea Martella: «Il lavoro del governo e del Parlamento non può essere sottoposto ogni giorno a diktat». Sulla Bindi lo scontro si consuma durante un vertice di maggioranza. Il botta e risposta con Franceschini, Brunetta lo spiega così: «In Antimafia c’è stato uno strappo che non può essere tollerato. Chi ha fatto lo strappo rifletta». La replica della presidente dell’Antimafia è indiretta, non cita Brunetta, ma chiara nel significato: «Dobbiamo unirci nella lotta alla mafia, non dividerci nei veti incrociati tra di noi». Sul decreto per la pubblica amministrazione Brunetta gioca facile. Già al momento dell’approvazione in Consiglio dei ministri lo aveva criticato, specie per le norme sui precari. E adesso torna alla carica: «È il contrario della mia riforma e non posso dare un giudizio positivo». Il suo ostruzionismo si somma a quello della Lega e del Movimento 5 stelle che alla fine, dopo la mediazione della presidente della Camera Laura Boldrini e del ministro per la Pubblica amministrazione Gianpiero D’Alia, ottengono il via libera a una decina di emendamenti, arrivando al voto finale in tarda serata che apre la strada all’ultimo passaggio in Senato. Il testo passa con 208 sì, 11 no e 76 astenuti. Tra le modifiche dell’ultima ora ce ne sono anche di interessanti. Come l’obbligo di pubblicare gli stipendi Rai, targato Lega, anche se stabilisce solo il principio e non entra nei dettagli come nella formulazione originaria. E il salvataggio delle aziende che hanno emesso bond dalla tagliola che vieta di prolungare il contratto ai dirigenti che hanno già una pensione nelle società pubbliche, municipalizzate comprese, che hanno chiuso l’ultimo bilancio in perdita.
Dopo Bindi e il decreto sulla pubblica amministrazione, il terzo assalto di Brunetta è sul tema più caro ai falchi del Pdl: «Caro Letta, ti ricordi la riforma della giustizia?» si legge sul Mattinale, il foglio scritto dallo staff del capogruppo di Montecitorio. E via con quattro domande che, riprendendo il discorso del presidente del Consiglio per la fiducia bis al governo, chiedono lumi su cosa farà non solo su amnistia e indulto ma anche sulla responsabilità civile dei magistrati. Una linea dura che si scontra con le parole del vicepremier Angelino Alfano: «Berlusconi è vittima di una persecuzione giudiziaria durata 20 anni. Non ci sorprendiamo più di nulla ma non smettiamo di indignarci. Non crediamo che le ultime vicende, avendogli anch’io parlato, abbiano influenza diretta sul governo». Due posizioni che si confronteranno anche oggi nel nuovo vertice del Pdl, stavolta dedicato alla legge di Stabilità.
Lorenzo Salvia


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