Angelino, il faccia a faccia con Silvio «Non litigherò con lei in pubblico»

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Sceglierà tra la figlia o il «figlio», tra Marina che vorrebbe tutelare e Angelino che vorrebbe a tutti i costi recuperare, anche se ieri prima di congedarlo lo ha avvisato: «Oggi ti restituirò lo schiaffo». E lo ha fatto Berlusconi, con la severità di un padre padrone che vuole far sapere chi comanda in casa e che però lascia socchiusa la porta nella speranza di rivedere la sua creatura. Per abbracciarla o soffocarla si vedrà, ma non c’è dubbio che questa sfida in famiglia è destinata ancora a riservare sorprese.
È una storia che andrebbe raccontata aiutandosi con un manuale di psicanalisi più che con manuale di politica. Infatti il «figlio», che conosce il genitore, è uscito ieri di casa con l’improntitudine di chi ritiene di essere dalla parte della ragione e non demorde. Più volte Berlusconi — sferzante nel ricordargli l’affronto subito — gli ha chiesto di partecipare alla riunione del partito, convocata per dargli una lezione. «Presidente — gli ha risposto Alfano — siccome non l’ho mai contraddetta in pubblico, non voglio iniziare a farlo ora. Perciò non vengo». Chiusa la porta, ha respinto anche i suggerimenti di chi — come Fedele Confalonieri — lo invitava a tornare sui suoi passi, ricordandogli che «in te Silvio vede l’erede». Niente da fare. E il Cavaliere, che voleva mantenere il punto e al tempo stesso riaprire l’uscio, più tardi avrebbe detto che «Alfano non c’è, ma con il mio consenso».
Sceglierà tra la figlia e il «figlio», Berlusconi. Sebbene sia vero che Marina continua a smentire l’idea di una sua discesa in campo e non è nemmeno detto che si renderebbe disponibile anche nel caso in cui Angelino non ci fosse più. E nel frattempo, attorno alla primogenita del Cavaliere si leva uno scudo difensivo. Lei è sincera, perciò la descrivono furente e stufa per l’uso strumentale che viene fatto del suo nome: «Più che smentire cosa devo fare»?. Lo «zio Fedele» è seccato e apprensivo: «La lasciassero in pace. Non ci pensa e non è giusto tirarla in ballo. Perché dovrebbe sopportare lo stesso calvario del padre?».
Ma i fedelissimi del padre continuano a sussurrare quel nome: «Marina, hai Marina, presidente». Così invitano Berlusconi a lanciarla nella sfida, non capendo che in questo modo confermano la tesi dei «nemici» sulla fine del ventennio e al tempo stesso si autodelegittimano, evidenziando che nel partito non c’è nessuno con il profilo idoneo a candidarsi per il centrodestra. Se il Cavaliere non si sbilancia c’è un motivo: da allenatore sa che gettare in campo un calciatore all’ultimo minuto non è uno schema, è una preghiera, la mossa della disperazione. E lui vorrebbe scongiurarla.
Ma il timing scelto per riunire il Consiglio nazionale che dovrebbe tenere a battesimo Forza Italia non lascia adito a dubbi. L’otto dicembre Berlusconi sarà chiamato a scegliere. Perché quello sarà anche il giorno delle primarie nel Pd, il giorno della quasi certa consacrazione di Renzi, ed è impensabile che nelle stesse ore il Cavaliere si presenti al Paese da perdente, da capo di un movimento che ha subito una scissione e che non ha un orizzonte né erede da offrire al suo elettorato. Perciò o la figlia o il «figlio», quel giorno si capirà, perché si saranno consumate molte cose, anche il rapporto con Alfano a cui ieri ha lasciato la porta aperta.
E Angelino, che l’ha capito, si è speso ieri per evitare la rottura definitiva: «Niente gruppi e men che meno un nuovo partito, si resta dentro». Queste sono per ora le disposizioni. È tanto debole quanto politicamente decisivo, conosce il leader Berlusconi e anche l’uomo, le sue mille sfumature caratteriali che lo portano a essere buonissimo e cattivissimo, razionale e folle, prodigo e avaro. Bisognerà vedere quale aspetto prevarrà nel passaggio cruciale della loro storia, che sarà anche un crocevia decisivo per il centrodestra. Il passaggio cruciale dovrebbe precedere il Consiglio nazionale del Pdl e sarà in Parlamento, con il voto sulla decadenza: lì si giocherà la partita del partito.
Berlusconi ieri ha detto che sarà difficile per lui e il suo partito restare alleati di chi al Senato farà pollice verso. È stato un passo verso la rottura, un preannuncio, ma non l’ufficializzazione di una posizione. Ed è su questa linea che potrebbe aprirsi la faglia, visto che giovedì — al vertice del Ppe — Alfano ha precisato che non si aprirebbe la crisi di governo. E per rimarcarlo ha aggiunto: «Lo dico dopo aver parlato ancora stamattina con il presidente Berlusconi». A pranzo ieri il Cavaliere si è espresso però in altro modo, sentendo stringere la tenaglia giudiziaria: «Se andassimo a votare mi hanno spiegato che non si applicherebbe la legge Severino». «Presidente, non è così» gli ha risposto il vicepremier. E non dev’essere stata la prima volta.
Insomma, bisognerà vedere quale delle mille sfumature caratteriali di Berlusconi prevarrà quel giorno a Palazzo Madama. Se chiamerà alla guerra e se additerà chi non lo segue come «traditore». Alfano confida ancora, ma intanto si prepara alla conta nel Pdl in vista del Consiglio nazionale, appuntamento al quale i lealisti ritengono di arrivare forti di una schiacciante maggioranza, capace di toccare i due terzi che servono a modificare lo statuto e dare l’avvio di Forza Italia.
Sono meccanismi automatici in un partito tradizionale, è il primo vero esercizio democratico nel Pdl, dopo il «che fai mi cacci?» con Fini. Una situazione che Berlusconi non vuol vedere ripetersi. Un congresso però c’è già stato, si è tenuto nell’aula di Palazzo Madama neppure un mese fa: è il voto di fiducia al governo, sono i numeri dietro i quali Alfano si ripara per riparare l’esecutivo da eventuali nuovi attacchi. E intanto resta in attesa di vedere cosa farà il Cavaliere. Che dovrà scegliere tra la figlia e il «figlio».
Francesco Verderami


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