Costituzione, devastato l’art. 138 Il governo si salva per cinque voti

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Ce l’hanno fatta per cinque voti. Cinque sì che valgono il quorum dei 2/3 e impediscono il referendum contro l’assalto alla Carta. Perché nel giorno dell’insurrezione a sorpresa dei falchi Pdl, a blindare lo “strappo” dell’articolo 138 hanno provveduto il Pd, eterno schiavo delle larghe intese, e la Lega Nord, alleato di complemento del governo che dice di combattere. Con 218 sì, 58 contrari e 12 astenuti, ieri il Senato ha approvato in seconda lettura il ddl costituzionale 813-b, che deroga all’articolo 138 e affida a un comitato di 42 parlamentari il compito (potere) di riscrivere metà della Carta. Raggiunto e superato il quorum dei 214 voti che valgono i 2/3: la quota anti-referendum, nonché la soglia che tiene in sicurezza il governo. Sotto attacco, in una mattinata lunghissima. I falchi del Pdl, guidati per l’occasione da Nitto Palma, hanno provato a far saltare il quorum, ossia il banco, con 11 astenuti e 14 assenti. Primo tra tutti, Silvio Berlusconi. Sarebbe stato l’affondamento delle riforme e un colpo durissimo per Gaetano Quagliariello: ministro per le Riforme costituzionali, colomba “doc” e saggio vicinissimo al Quirinale. E invece il ddl prosegue la sua corsa. Grazie soprattutto al Pd, che ha ignorato l’appello di “Via Maestra” e di tanti cittadini, che chiedevano il referendum. Ignorati, dai Democratici che hanno votato come soldatini, con 5 eccezioni. A opporsi, come sempre, Cinque Stelle e Sel, con tutti i loro 57 no.
Quagliariello suda freddo
In aula si parte con l’intervento di Anna Finocchiaro, relatrice del ddl. Assicura: “Il comitato dei 42 non spodesta il Parlamento, l’articolo 138 viene rafforzato perché alla fine delle riforme sarà possibile il referendum”. Soprattutto, precisa: “I provvedimenti varati dal Comitato saranno autonomi e coerenti, i cittadini potranno abrogarli separatamente”. Finocchiaro parla ai malpancisti del Pd. Ovvero ai 10 senatori firmatari di un documento critico nei confronti delle riforme: Laura Puppato, Stefania Pezzo-pane e “dissidenti” già noti, come Corradino Mineo e Walter Tocci. Scrivono di “elementi di criticità che rendono incerto il percorso delle riforme”. Fuori dell’aula, Puppato spiega: “La senatrice Finocchiaro mi ha dato delle risposte, si potranno votare separatamente cose importanti come la diminuzione dei parlamentari”. Quindi vota a favore? “Sì, la deroga al 138 è compensata dal referendum”. Al microfono, Quagliariello si infervora: “Il bicameralismo perfetto è intollerabile, quanto ci costa la mancanza di stabilità? ”. Loredana De Petris (Sel) risponde: “La priorità è cambiare il Porcellum, altro che la Carta. Indicate la Costituzione come la fonte di tutti i mali e parlate di semipresidenzialismo perché volete ovviare alla vostra debolezza”. Sel regala a Quagliariello i lavori preparatori della Costituente.
Calderoli a gamba tesa
Ma il pacco a sorpresa glielo dona il leghista Roberto Calderoli: “Caro ministro, ho letto la relazione dei saggi sulle riforme e mi sono cascate le braccia e anche qualcos’altro: è un papocchio”. Calderoli fa paragoni: “Io e gli altri 3 saggi lavorammo in una baita a spese nostre, i suoi saggi hanno lavorato in un resort a 5 stelle”. Ma conferma il sì del Carroccio, “perché crediamo comunque nelle riforme”. Chiosa pesante: “Sia chiaro, o si raggiunge il quorum, o ti saluto riforme”. Tradotto: i 2/3 non sono scontati. La maggioranza può contare su un massimo di 239 voti. Ma nel Pdl ci sono diversi assenti. Parla Paola Taverna (M5S): “Volete devastare la Carta che violate già tutti i giorni, questa riforma fa paura”. Tocca ad Augusto Minzolini. Il “direttorissimo” Pdl si era già astenuto l’11 luglio. Annuncia il bis: “Stanno estromettendo in via giudiziaria il leader del Pdl, eppure questa riforma non affronta il tema della giustizia. Il governo delle larghe intese deve riformare il Paese, altrimenti rischia di fare solo danni”. Quagliariello ha il volto tirato. Davanti allo schermo fuori dell’aula, compare un elegante Scilipoti: non si sposterà sino al voto (si asterrà). Parla Mineo: “Questa volta non voterò sì al ddl. Dopo la sentenza definitiva su Berlusconi è in corso un attacco allo stato di diritto, non si possono fare le riforme assieme”. Applausi, rumori, tensione. Il quorum è in bilico. A confermarlo è il falco Nitto Palma, ascoltato in silenzio dall’aula: “Dalla prima approvazione del ddl è accaduto un fatto importante, il messaggio di Napolitano sul malessere della giustizia penale. Il tema non può rimanere fuori dalle riforme”. Poco dopo le 13, si vota. I 7 di Sel sventolano i fazzoletti dell’Anpi. La maggioranza trattiene il fiato. Ma poi sorride: 218 sì e quorum raggiunto. I lavori dovrebbero proseguire, ma Calderoli sospende: “Siete distratti”. Un peone dà una pacca a Minzolini: “Bravo, stavi affossando la legislatura”. Lui nega: “Non era organizzato”. Tweet di Grillo: “La Costituzione non è carta da culo”.


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