La zampata dei populisti raggiunge Praga

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Se c’è un Paese che ha le idee confuse oggi in Europa, è la Repubblica Ceca. Alle elezioni anticipate di ieri hanno vinto i socialdemocratici di Bohuslav Sobotka, che non hanno i numeri per governare e sono tallonati dal movimento dell’imprenditore milionario Andrej Babis «Ano», Azione dei cittadini scontenti: la sinistra riformista da sette anni all’opposizione e il partito populista emanazione del gotha industriale sorto dalle ceneri della Cecoslovacchia, impossibili alleati inseguiti dai comunisti che ambiscono a un ruolo di governo per la prima volta dalla Rivoluzione di Velluto del 1989.
I socialdemocratici fermi al 20,4% annunciano l’avvio immediato delle consultazioni mentre Babis, l’uomo che ha dato forma e rappresentanza all’insofferenza per un sistema corrotto e inefficiente, festeggia il 18,6% smarcandosi dai politici di professione e rivendicando l’autonomia di manovra del movimento. «Non appoggeremo un governo di sinistra» dice Babis, che ha fatto del «cambiamento di sistema» il proprio marchio. «Non era il risultato che ci aspettavamo. Le trattative per un governo di minoranza o di coalizione saranno difficili. Per ora abbiamo molti punti in comune con i comunisti» risponde il leader della sinistra Sobotka, disposto a esplorare tutte le possibilità per porre fine a una fase d’incertezza che rischia di alterare anche lo scenario economico finora stabile. E non è un dettaglio la difficile relazione personale di Sobotka con il presidente Zeman, ex comunista e storico leader socialdemocratico che ha di fatto assunto la guida dopo le dimissioni del governo di centro destra guidato da Petr «Mani Pulite» Necas, il fisico anti-corruzione travolto lo scorso luglio da uno scandalo di tangenti e intercettazioni.
Fondato solo nel 2011, «Ano» (l’acronimo in ceco significa «Sì») ha capitalizzato gli effetti di una stagione burrascosa. Babis, 59enne di origine slovacca formatosi nei quadri dell’élite comunista, pedigree che gli ha consentito di viaggiare e costruire un’ampia rete di contatti all’estero, è cresciuto nel mito di Warren Buffett e ha fondato l’impero chimico-agricolo Agrofert che nel 2013 ha acquisito anche il colosso mediatico Mafra, editore di influenti giornali e tv. La stampa lo ha soprannominato «il Berlusconi ceco». Difficile un’azione comune tra il suo partito, laboratorio di antipolitica catapultato in Parlamento, e i socialdemocratici che vogliono revocare le riforme pensionistiche e sanitarie del centro-destra e tenere il rapporto tra deficit di bilancio e Pil sotto il tetto del 3% con una politica di aumento delle tasse per i più ricchi.
Il ritorno dei comunisti, che ieri hanno sfiorato il 15%, esaspera le tensioni espresse negli ultimi giorni in manifestazioni di dissenso come la provocatoria installazione anti-Zeman dello scultore David Cerny sulla Moldava, l’happening di manichini impiccati nel centro di Praga in memoria delle vittime della repressione, l’esposizione del mega ritratto del presidente russo Vladimir Putin dove nel 1955 fu sistemata la più grande statua di Stalin al mondo, fatta esplodere nel 1962.
«Non sappiamo apprezzare la libertà» riflette sconsolata Dana Nemcova, ex portavoce della piattaforma civica dei dissidenti anticomunisti «Carta 77» guidata da Václav Havel, il drammaturgo diventato presidente, l’uomo che credeva nella mobilitazione dal basso e nella politica come passione, nel «potere dei senza potere».


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