Napolitano: necessario rinnovare la Carta

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Non ha ovviamente cambiato idea e lo dimostra un’infinità di interventi, il più importante dei quali pronunciato alla Biennale democrazia di Torino, nel 2009. Quando ricordò che «il patto che ci lega» nacque «guardando lontano» e non è «un manifesto ideologico» né tantomeno «un residuato bellico». Per revisionarlo — «nella seconda parte», specificava — «non c’è da ripartire da zero», ma serve «una rinnovata stagione costituente», che miri «alla più larga condivisione». È ciò che continua a pensare, spiegando (con un messaggio al convegno italo-francese «Dalle riforme, la Rinascita», in corso a Cogne) che «è ora possibile e necessario affrontare il compito di un sapiente rinnovamento del nostro ordinamento costituzionale, coerente con i suoi valori fondanti».
Un’apertura che legittima una serie di modifiche strutturali, purché condotte con saggezza e competenza. Dunque senza stravolgimenti. Uno slancio riformatore condiviso con il premier e che può determinare la svolta della quale l’Italia ha bisogno, confidando sempre nel «valore della Carta come strumento d’indirizzo e stimolo in direzione di un’Europa di pace e di progresso». Ma soprattutto in modo di far funzionare meglio il sistema su vari fronti critici. Per esempio, andando oltre lo schema paralizzante del bicameralismo perfetto o migliorando con diversi strumenti il rapporto centro-periferia o rafforzando i poteri dell’esecutivo. Un compito delicato, cui il presidente della Repubblica tiene molto: sua è stata l’idea, poi raccolta da Enrico Letta, di una commissione di saggi incaricati di offrire al Parlamento una bozza di lavoro sulla quale il ministro Gaetano Quagliariello svolgerà martedì un’informativa in Senato.
Curiosamente, la riflessione pubblica del capo dello Stato cade alla vigilia della manifestazione promossa per oggi a Roma da un gruppo di costituzionalisti ed esponenti della società civile (Zagrebelsky, Rodotà, Carlassarre, don Ciotti, Landini…) giusto per contestare il percorso (e non solo il percorso) messo a punto da Palazzo Chigi. Lo hanno chiamato «il partito della Carta» e intorno alle sue tesi «di resistenza» è in corso uno scontro ormai più politico che accademico. Una campagna che rischia di far alzare la temperatura intorno alle «larghe intese», ciò che spiega perché il Quirinale voglia evitare qualsiasi incrocio o gioco alle corrispondenze.
Ieri, però, sul Colle sono piovute ben altre tegole: un nuovo attacco del Movimento 5 Stelle che accusa Napolitano di aver «esercitato le proprie prerogative al di là dei limiti posti dalla Costituzione» e di aver «snaturato il senso politico e morale della figura del capo dello Stato». E per questo ne evoca l’impeachment , così da «costringerlo alle dimissioni» e sconfiggere appunto «le larghe intese». Un’«ipotesi ridicola e demenziale», l’hanno bollata, congiuntamente, Pd e Pdl. Polemiche così irreali da non meritare risposta, per il Quirinale. Dove già si seguono con stupore e amarezza certe provocatorie letture del messaggio alle Camere sull’emergenza carceraria. Tra le tante voci di solidarietà, una ha colpito Napolitano: quella del presidente della Cei, cardinale Bagnasco. «Mi pare che il suo discorso sia molto importante, direi decisivo. Spiace solo vedere che viene continuamente travisata ogni parola, anche le parole più alte».
Marzio Breda


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