Tornare alle basi fondative della Repubblica

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Nello stesso giorno è convocata a Roma la manifestazione in difesa della Costituzione. Noi crediamo non solo che non vi sia alcuna contraddizione tra le due iniziative, ma che nella manifestazione vi siano molte delle ragioni che ci hanno spinto a promuovere il documento congressuale e a lavorare alla costruzione del Campo Democratico come prospettiva strategica delle forze progressiste. Aderiamo dunque all’iniziativa del 12 ottobre, nella convinzione che essa esprima un orientamento utile all’Italia.
Tornare ai principi, alle basi fondative della Repubblica. Quei principi sono tutt’uno con le lotte delle classi popolari e delle componenti democratiche del paese, contro l’illibertà, contro l’egoismo sociale e la distribuzione ingiusta delle ricchezze. Essi si esprimono attraverso un ordine giuridico, un rigoroso bilanciamento dei poteri, una struttura della rappresentanza politica fondata sulla centralità del Parlamento.
Da molti anni si susseguono i tentativi di revisione, con idee-guida confuse e scarsamente argomentate, espressione di culture istituzionali approssimative e contraddittorie. Ora si vuol cambiare il testo costituzionale, secondo regole che modificano la procedura dell’articolo 138, nell’intento di abbreviare i tempi e rendere più agevole il mutamento. Si vuole semplificare l’iter delle nuove norme, ma sul contenuto di esse esistono idee disparate, non vi è accordo tra le forze politiche. Gli stessi modi di intendere l’assetto attuale (le rappresentazioni della vita istituzionale) appaiono inconciliabili. Si pensi all’immagine della magistratura come potere eversivo, che la destra fa di tutto per accreditare.
Di fronte a questa confusione di linguaggi la via da seguire consiste nel riaffermare ed attuare il progetto costituzionale. Se rilanciamo i principi, è anche possibile un aggiornamento di aspetti riguardanti l’amministrazione pubblica, il rapporto centro-periferia, la composizione del Parlamento che oggi appare pletorico e che, con una composizione numerica più ristretta, potrebbe raggiungere una maggiore qualificazione (naturalmente con un diverso sistema elettorale), e inoltre la cruciale questione dei conflitti d’interessi e di una seria legislazione antitrust.
Gli aggiustamenti tuttavia devono nascere da una visione comune.
L’articolo 3 indica la direzione di marcia. Propone come basi della vita collettiva i principi di dignità e di uguaglianza; e fissa un compito per la Repubblica: rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale all’uguaglianza e alla partecipazione politica, alla libertà e al pieno sviluppo delle persone. In questa prospettiva va interpretato l’articolo 36, sul diritto di ciascun lavoratore a una retribuzione equa e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Ecco tornare il concetto di dignità, che dovrebbe essere il fondamento di politiche redistributive. Analogamente sono connessi con l’articolo 3 sia l’articolo 41, comma 2 (l’iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»), sia l’articolo 42, che affida alle leggi il compito di garantire la funzione sociale della proprietà, sia infine l’articolo 43, che disciplina l’espropriazione e la gestione non privatistica dei beni comuni, riservati o trasferiti anche a comunità di lavoratori o di utenti.
Questi brevi enunciati (che citiamo, perché investono aspetti salienti dei rapporti sociali oggi investiti dalla crisi) delineano un programma di riforme. Noi crediamo che esso possa divenire l’embrione di una nuova politica.
Altri principi di cui rivendichiamo l’attualità riguardano l’indipendenza e l’autonomia dell’ordine giudiziario. «I giudici sono soggetti soltanto alla legge»: ciò significa che essi hanno il dovere di disobbedire ad ogni comando, pressione, intimidazione, che intenda allontanarli dall’osservanza della legge e dall’uguale trattamento di ogni cittadino, quali che siano le sue condizioni, le sue ricchezze e il suo potere.
Crediamo che sia un errore perseguire il rafforzamento delle prerogative del Governo, la creazione di un nuovo potere personale al vertice del sistema (presidenzialismo o simili). L’efficienza va conquistata riformando la pubblica amministrazione, modificando il testo attuale del titolo V della Costituzione (frutto di un’innovazione non meditata). Non ci sembra d’altra parte ragionevole istituire una camera rappresentativa del sistema delle autonomie, prima di procedere ad una revisione del suo attuale impianto.
I poteri di controllo e di iniziativa del Parlamento vanno rafforzati; così come i percorsi della partecipazione: ad esempio, trattazione obbligatoria nelle aule parlamentari delle proposte di legge di iniziativa popolare, referendum propositivi. In questo quadro ha senso la riduzione del numero dei parlamentari.
Dunque interventi di adeguamento della Costituzione sono possibili, ma alle condizioni e secondo i principi fin qui indicati. Gli orientamenti della destra appaiono assai lontani da questa impostazione. Né vi sono idealità comuni a cui ispirare un accordo. Vi è invece il rischio assai concreto di improvvisazioni devastanti, contro le quali va condotta un’opera di denuncia e battaglia politica.
Ciò non significa che si debba star fermi. Vi è un tema su cui concentrare il massimo impegno e verificare le disponibilità ad un lavoro serio, che segni per tutti una discontinuità con il passato. È urgente e improrogabile una riforma del sistema elettorale (a nostro avviso da fondare su collegi e doppio turno). La sopravvivenza delle norme attuali, volute dalla destra e di cui il centro-sinistra ha sottovalutato la gravità, è uno schiaffo alla Costituzione. Modificarle radicalmente è il primo passo essenziale, se si vuol restituire al Parlamento il ruolo centrale fissato nella Carta del ’48.


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