Ritoccare la Costituzione al più presto La contromossa del (nuovo) governo

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La fine delle larghe intese è l’inizio di un conflitto istituzionale che contrappone Berlusconi a Napolitano, è uno scontro destinato a radicalizzarsi, è una sfida che si gioca sul terreno delle procedure parlamentari ma che origina dalla battaglia sulla decadenza del Cavaliere.

Perché è vero che Forza Italia ha deciso ieri di lasciare la maggioranza per dissenso sulla legge di Stabilità, e che in virtù di un mutamento sostanziale del quadro politico ha chiesto al premier di salire al Quirinale per essere poi — eventualmente — rinviato alle Camere per ottenere una nuova fiducia. Ma è altrettanto vero che la scelta è avvenuta alla vigilia del giorno del giudizio per Berlusconi, e che la manovra mira al blocco dell’attività parlamentare, quindi anche allo slittamento del voto sull’estromissione del Cavaliere dal Senato.
La scelta dell’esecutivo di porre la fiducia sulla legge di bilancio e di blindare in un solo colpo i conti dello Stato e la nuova maggioranza è stata però condivisa e assecondata dal capo dello Stato, provocando così la reazione degli azzurri, che accusano il Quirinale di «vulnus» alle regole del gioco. Ecco il preludio del conflitto che potrebbe segnare in modo drammatico l’epilogo della Seconda Repubblica. È la prova che Berlusconi non intende arrendersi, che punta alla delegittimazione del Colle e scommette sulla debolezza del quadro politico, magari con l’«aiuto» di Renzi per una crisi a breve termine.
È il rischio del «caos» a cui ha fatto riferimento ieri Letta, che sotto il patronato di Napolitano identifica il suo governo come l’alveo dentro cui arginare le convulsioni del sistema. Ma per evitare che il sistema imploda, l’esecutivo ha una sola strada: avviare subito la revisione della Carta. Il punto è che la fine delle larghe intese si porta appresso la fine del percorso riformatore previsto con la nascita del Comitato dei saggi: senza Forza Italia non ci sono più i due terzi dei voti parlamentari necessari per evitare un referendum, che vecchi e nuovi avversari del governo potrebbero utilizzare per far saltare il banco. Per incanto si unirebbero le estreme, da Berlusconi a Grillo, dalla Fiom ai custodi dell’ortodossia costituzionale: Colle e Palazzo Chigi verrebbero stritolati.
È un azzardo che lo stesso Renzi ha suggerito a Letta di evitare, e che incrocia il parere favorevole di Alfano. È preferibile piuttosto procedere con il tradizionale meccanismo dell’articolo 138, al quale sta già lavorando il ministro delle Riforme Quagliariello, che si appresta a presentare il primo pezzo della riforma, che è il passo d’avvio e forse anche di arrivo. Con la trasformazione del Senato nella Camera delle Autonomie si otterrebbe un triplice risultato: il superamento del bicameralismo perfetto e insieme la riduzione del numero dei parlamentari e dei costi della politica, visto che i 315 senatori sarebbero sostituiti (senza emolumenti) dai rappresentanti delle realtà locali.
Così si potrebbe anche evitare un «taglio» alla Camera degli attuali 630 deputati, sarebbe più semplice varare una legge elettorale e il cerchio si chiuderebbe. Tutto fatto? Niente affatto. Certo, Forza Italia e Cinquestelle faticherebbero a ostacolare un simile progetto di riforma, ma c’è da convincere i senatori ad abbandonare Palazzo Madama, impresa finora mai riuscita. Una cosa però è sicura: questo pacchetto viene sponsorizzato da Renzi, che non è ancora formalmente diventato il «player» della maggioranza ma di fatto adopera già la sua golden share sull’esecutivo.
Il futuro segretario del Pd si dispone al tavolo da gioco con due carte: potrebbe attendere che una maggioranza fragile al Senato si sfilacci, aprendo la strada alle elezioni, o — come sostiene di voler fare — mostra di dar credito a Letta, di appoggiare il percorso delle riforme che sposterebbe l’orizzonte del voto almeno al 2015. Che sia tattica o strategia, poco importa: Renzi vuole dettare l’agenda al governo, consapevole — nel caso — di poter ottenere le urne senza nemmeno lasciarci le impronte, visti i desideri di rivalsa che covano nell’area montiana…
Da ieri è cambiato tutto, e la sfida per Alfano inizia in salita: con Renzi che vuol contare e con Forza Italia che tenterà di schiacciarlo a sinistra, dovrà evitare di farsi «cespuglizzare». Tuttavia il vicepremier sa di avere una chance nel medio termine, se riuscirà a condividere con gli alleati di governo i primi refoli della ripresa economica — tutta da consolidare — e se riuscirà a intestarsi le riforme, dove peraltro potrebbe ricevere di qui a breve un prezioso contributo dalla Lega di Maroni, interessata al progetto di revisione della Carta. Sarebbe il primo passo verso un nuovo assetto del futuro rassemblement di centrodestra. Ma si fatica a scrutare l’orizzonte. Da ieri le nubi del conflitto istituzionale minacciano tempesta.
Francesco Verderami


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