Cena con Alfano, si tenta ancora

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ROMA — Un incontro notturno, e potrebbe non essere l’ultimo. È affidata alla volontà di Berlusconi e Alfano di stare assieme al di là di tutto, e alla paura reciproca dell’isolamento e della sconfitta, l’ultima speranza di evitare la spaccatura formale e definitiva del Pdl.
A due giorni dal Consiglio nazionale — che resta confermato per sabato e che dovrà chiudere il Pdl e riaprire Forza Italia affidando tutti i poteri a Berlusconi e a nessun altro —, ieri sera l’ex premier e il suo ex delfino si sono incontrati per l’ennesima volta, a palazzo Grazioli, al termine di una giornata assieme drammatica quanto surreale, nella quale il tutti contro tutti ha assunto accenti quasi insostenibili per un qualsiasi partito, carismatico o tradizionale che sia.
Eppure, ancora la fiammella del possibile mantenimento dell’unità resta accesa. E attivissimi sono i protagonisti della trattativa più intricata della storia del Pdl, sia quelli che vorrebbero raggiungere un accordo che quelli che vorrebbero farlo saltare.
C’è Silvio Berlusconi, che vuole l’unità del partito a tutti i costi, e che nei suoi saliscendi emotivi nonché nella riunione con i falchi (Fitto, Santanchè, Verdini) e i mediatori (Gasparri, Matteoli, Romani) a pranzo ha fatto la parte della colomba passando dalle dichiarazioni di guerra al governo di martedì notte(«Ce ne andremo se mi voteranno la decadenza») a un sostanziale sostegno («Non è un mio obiettivo far cadere l’esecutivo sulla legge di Stabilità»), nella convinzione che lo ha appassionato nelle ultime ore che potrebbe arrivare qualche «bella sorpresa dall’Europa»: i suoi avvocati, ma non solo, lo avrebbero confortato sul fatto che dalla corte di Strasburgo potrebbe in pochi giorni già arrivare qualche atto (forse l’accoglimento del ricorso contro la Severino) tale da spostare il voto sulla decadenza «di mesi, anche a febbraio o marzo», e allora «io non avrei interesse a far saltare tutto», ha confidato ai disorientati e sempre più agitati duri del Pdl.
C’è poi Alfano, angosciato all’idea di rompere finendo in una terra di nessuno elettoralmente pericolosissima, spinto dai duri fra i suoi a pretendere «chiarezza» e «garanzie», che passano per ruoli di vertice nel partito, certezza sulle ricandidature, una dichiarazione esplicita al Cn di fedeltà al governo anche se verrà votata la decadenza e, se i tempi per ottenere tutto ciò fossero stretti, il rinvio del Consiglio nazionale. In caso contrario, avvertono, «non ci basteranno rassicurazioni generiche o discorsi alti e nobili: diserteremmo il Cn».
Ci sono poi i lealisti, in pressing furioso per evitare che si sigli un accordo «al ribasso» che rimetta Alfano al centro del partito e veda deposta l’unica arma che li rende decisivi e centrali: il passaggio all’opposizione o la possibilità di far cadere il governo sulla legge di Stabilità o sulla decadenza. «Se Berlusconi cede — già minacciano tutti — saremo noi a far saltare il banco, perché a questa genuflessione non ci stiamo e tantomeno a sottostare alla linea di Alfano che è minoritaria».
Infine, ci sono i super-mediatori: da Confalonieri a Doris, da Letta alla stessa famiglia del Cavaliere, quel mondo aziendale che teme passi falsi che danneggerebbero l’impero senza ottenere in cambio alcun guadagno, e che si muovono coinvolgendo Quirinale, governo, ambienti ecclesiastici come europei.
Da questi interessi in parte convergenti e in parte furiosamente contrapposti, dovrebbe venir fuori un accordo che, a ieri sera, ancora non si capiva su cosa si potesse basare. Il tutto in un clima di odio reciproco arduo da rasserenare, a meno di una forza sovrumana difficile da scorgere in un leader che vorrebbe tutto, ma che nessuno sa cosa farà se non ottenesse nulla.
Paola Di Caro


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