Il niet del Cavaliere ai numeri due Vent’anni di astri nascenti bruciati

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La storia del centrodestra italiano: mille rotture e un leader indiscusso Non c’era Angelino Alfano, nella rinata Forza Italia, nell’atmosfera un po’ funerea di chi non è sembrato vivere un nuovo ed esaltante inizio, ma più semplicemente la ricerca di un’ultima scialuppa di salvataggio. Ma non c’erano, in quella sala dell’Eur, molti protagonisti della storia ventennale del centrodestra italiana di conio berlusconiano. Dov’era Giulio Tremonti? E Fini? E Casini? E Follini? E Buttiglione? E i volti di Forza Italia che affiancavano il leader del ’94? E gli alleati della Lega, erano forse lì a festeggiare il ritorno di Forza Italia? E dov’erano i sorrisi, l’entusiasmo, la speranza che resero possibile l’impresa titanica di una vittoria in tre mesi?
Vent’anni di centrodestra italiano hanno avuto questo di peculiare: un leader indiscusso e mille rotture. O meglio un leader che, quando ne veniva messa in discussione la supremazia, ha provocato la rottura con chi ostacolava il percorso trionfale di una leadership fortissima. Ogni possibile delfino è stato triturato e messo da parte. Ogni numero due con aspirazioni da numero uno è stato messo all’angolo. Quando nel 2006 Tremonti chiese di essere capogruppo del Pdl alla Camera, Berlusconi disse di no a un protagonista ambizioso e per quella ribalta prestigiosa, tentazione di carriera e trampolino di lancio, optò a favore di un oscuro yesman. Quando Roberto Formigoni, forte di una base consistente nel mondo cattolico e di Cl in particolare, manifestò la sua propensione a uscire dalla gabbia della Regione Lombardia dopo tanti mandati per approdare alla presidenza del Senato, anche in quel caso il niet di Berlusconi fu inequivocabile. Sul predellino Berlusconi piegò Fini e spense (momentaneamente, come si è visto in seguito) le sue irrequietezze. A Casini ha chiesto l’atto di sottomissione, senza ottenerlo. Uno per uno tutti gli astri “in fieri” che avrebbero potuto oscurare la solare unicità del Capo sono stati messi in condizione di non nuocere. Quando Tremonti ha assunto un peso debordante nel governo nato con il trionfo del 2008, l’insofferenza di Berlusconi è stata palpabile e mai mimetizzata dietro i sorrisi e le dichiarazioni ufficiali. Per Angelino Alfano l’investitura per la segreteria del Pdl ha coinciso con l’inizio di una sequenza di umiliazioni, di rimbrotti, di denunce sulla mancanza del misterioso “quid”. Oggi Berlusconi si circonda di fedelissimi: è il risultato della selezione alla rovescia che ha governato il centrodestra nel ventennio della Seconda Repubblica, la trasformazione sempre più marcata di una coalizione in una corte acclamante. E chi non ci stava, fuori.
Il centrodestra italiano è una creatura di Silvio Berlusconi. L’elettorato del centrodestra si identifica in larghissima parte con Berlusconi. Berlusconi ha saputo alternare rotture traumatiche e riconciliazioni clamorose, come è accaduto dopo il “tradimento” di Umberto Bossi. Non è stato in questo caso un “perdono”, ma la consapevolezza che Bossi portava con sé un bottino elettorale notevole. E infatti, riconciliandosi con la Lega di Bossi che pure lo aveva coperto di insulti oltraggiosi, il centrodestra berlusconiano, dopo la sconfitta del ’96. ha ricominciato a vincere. La forza dei voti è l’argomento formidabile di Berlusconi: “ i voti li porto io”. Un argomento democraticamente ineccepibile, perché la leadership democratica ha il suo fondamento nel consenso popolare. Però Berlusconi ha applicato questo argomento con una fedeltà un po’ troppo letterale: essendo i voti miei, ergo questa è casa mia, qui valgono solo le regole che detto io, i nomi della coalizione variano ogni volta che decido io di variarli, il delfino di turno sarà solo ed esclusivamente il “mio” delfino di turno. Per la verità, Berlusconi ha “perdonato” anche un’altra transfuga “pentita”: Daniela Santanché che aveva scelto la Destra di Francesco Storace. In questo caso, a differenza del cospicuo patrimonio elettorale della Lega di Bossi, la riconciliazione non venne pesata in voti. Ma le dinamiche e le predilezioni del leader indiscusso a volte seguono percorsi tortuosi e indecifrabili.
Quando Berlusconi, nel ’94, battezzò il centrodestra italiano, riuscì a presentarsi come il rappresentante dell’anti-politica e della nuova politica, l’outsider estraneo al “teatrino della politica”. Oggi, nella parabola ventennale che lo ha portato alla rifondazione di Forza Italia anche a costo di una scissione cruenta, Berlusconi manca completamente della spavalda ventata di novità trascinata dal nuovo partito. Tutto era nuovo: il lessico, gli abiti, le forme, l’estetica, l’anti-estetica, le facce. Oggi l’impressione è quella asfissiante del già tutto visto, tutto conosciuto, tutto sperimentato. In realtà, è più un’impressione che la realtà. Della vecchia guardia del ’94 c’era all’Eur in prima fila solo Antonio Martino, tessera numero due di Forza Italia alla sua (prima) nascita. Il sondaggista di Berlusconi Gianni Pilo? Sparito. Tiziana Parenti, contrappeso delle “toghe rosse”? Persa per strada. Marcello Pera, ex presidente del Senato e protagonista di quella pattuglia di “professori” che nel ’96 doveva dare spessore culturale all’avventuroso centrodestra italiano? Non pervenuto. I Radicali, molto prima di Daniele Capezzone, che avevano portato nel centrodestra un po’ di spirito libertario, i Marco Taradash e i Peppino Calderisi? Andati via. E questa diaspora non ha coinciso con un sano e robusto ricambio generazionale, o per avvicendamento naturale e fisiologico. Ma per cooptazione, fedeltà, disciplina, accettazione incondizionata di ogni parola del leader assoluto.
E infatti, “tradimento” è la parola forse più frequentata nel discorso pubblico del centrodestra italiano. Dietro al dissenso si crea un clima sospettoso e vagamente paranoico che identifica chi dissente con chi tradisce. Un’altra parola è “gratitudine”, per cui chi, dopo essere stato magnanimemente gratificato di un posto al sole per volontà esclusiva del leader, deve essere obbligato ad essere d’accordo con lui per il resto dei suoi giorni, pena l’accusa di essere un meschino e un “ingrato” che sputa nel piatto che gli è stato dato ed ha accoltellato alle spalle il suo generoso benefattore. Tra traditori e ingrati si è via via modificato e assottigliato il gruppo che ha fatto da classe dirigente del centrodestra. Anche i voti, per la verità, si sono assottigliati nel quinquennio tra il 2008 e il 2013 di circa il 16 per cento, ma il tonfo del Pd di Bersani ha attenuato gli effetti di un dimagrimento tanto accentuato. Ora, il ritorno al futuro targato Forza Italia. E una scissione ancor più dolorosa perché condotta da uomini nati cresciuti in Forza Italia. Altro che spirito del ’94.


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