Il segnale che manca

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Da oggi e per tutta la settimana, in più di cento città italiane, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, si organizzeranno scioperi e manifestazioni unitarie di Cgil, Cisl e Uil per imprimere una svolta coraggiosa alla Legge di Stabilità. Non accadeva da tempo ed è segno di quanto la situazione sia avvertita come grave.
Il sindacato unitario chiama alla mobilitazione in sostegno della propria piattaforma i lavoratori dell’industria, dei servizi, del Pubblico impiego e i pensionati. Lo fa consapevole delle difficoltà e delle rinunce che sono chiamati a sopportare, sapendo che la crisi non è finita e che l’emergenza occupazionale si aggraverà ancora. Lo fa per chiedere una diversa politica economica che dia, contrariamente a quella attuale, prospettive di crescita e sviluppo per il Paese. Lo fa perché ci sia una gestione certa delle emergenze occupazionali dalla cassa integrazione, agli esodati nei numeri, nei tempi e nelle risorse stanziate.
Con oltre 3000 emendamenti presentati al Senato, si profila quello che i giornali già chiamano un «assalto» alla legge di Stabilità. Un arrembaggio degno della prima Repubblica, ma rispetto agli anni in cui era facile aumentare la spesa pubblica, ad aggravare la situazione c’è la crescente disoccupazione dei giovani in particolare i rigidi vincoli europei, una maggioranza divisa che vuole spostare l’asse della manovra in direzioni fra loro conflittuali.
I sindacati non sono interessati ai piccoli aggiustamenti delle voci di spesa in difesa di questo o di quell’interesse particolare. Abbiamo più volte detto che serve una virata netta perché la legge di Stabilità corrisponda davvero agli obiettivi dichiarati quotidianamente dal governo, ma quotidianamente disattesi. Se la legge di Stabilità 2014 deve svolgere una funzione anticiclica di avvio della ripresa economica e di creazione di lavoro, è prima di tutto necessario aumentare le entrate e i risparmi possibili. Su questo versante si scontrano, anche all’interno della maggioranza, non il partito delle tasse e quello che le vuole ridurre, ma un centro destra che intende mantenere la gran parte della pressione fiscale su lavoro dipendente e imprese, e un centro sinistra che non riesce a far pagare i redditi improduttivi quali le rendite finanziarie, le grandi ricchezze, i patrimoni. Il risultato è che mentre il Paese lotta quotidianamente per mantenere la propria domanda interna e la propria competitività a un livello accettabile, il governo, invece di agevolare gli sforzi di lavoratori e imprese, resta impantanato in uno sterile, sbagliato e incomprensibile dibattito sul «pasticcio» creato con la morte e resurrezione della tassa sulla casa. Il risultato è un fisco iniquo che colpisce chi lavora e produce mentre premia chi dirotta i capitali sulla finanza speculativa e la rendita improduttiva. Siamo al punto che lo Stato non riesce neppure a varare una nuova tassazione sui giochi elettronici capace di portare entrate aggiuntive certe, derivanti dal poker e dai casinò on line, non depressive dei consumi.
Il sindacato non pretende una riforma del sistema fiscale in due mesi ma un segno di redistribuzione equa del contributo e del prelievo, affiancando il nostro Paese a ciò che da molto tempo si attua in Europa.
Sul versante dei risparmi abbiamo indicato la possibilità di introdurre costi standard, maggiore controllo sugli acquisti di beni e servizi e taglio delle consulenze come uno degli spazi in cui è possibile essere più incisivi e recuperare risorse.
Ci preoccupano invece le volontà, periodicamente riaffermata, di privatizzare le imprese produttive o di servizio e i beni demaniali. Vendere o svendere le partecipazioni pubbliche nelle grandi imprese impedisce di realizzare quelle politiche industriali che il governo stesso dice che vorrebbe adottare in un testo collegato alla legge di stabilità. La svendita delle imprese di servizio pubblico locale produrrà aumento immediato delle tariffe e non garanzia dei servizi su tutto il territorio.
La privatizzazione delle spiagge porterà a uno sfruttamento selvaggio del patrimonio delle coste italiane già così terribilmente impoverito dall’abusivismo edilizio e dall’incuria manutentiva.
Riteniamo che si debbano significativamente allentare i vincoli posti agli Enti Locali dal «Patto di stabilità interno», in modo che possano riprendere gli investimenti pubblici almeno per le risorse esistenti al netto dell’impiego dei fondi strutturali europei, e che si smetta, una volta per tutte, la facile strada dei tagli lineari inadatta a fermare la spesa complessiva, che infatti continua a crescere, e che finisce solo per penalizzare i servizi e svalutare il lavoro pubblico.
Per far riprendere la domanda interna, i consumi e gli investimenti, abbiamo indicato la necessità di aumentare i redditi di lavoratori, pensionati, incapienti e di rinnovare i contratti del pubblico impiego. Così come abbiamo insistito per detassare le imprese che investono in occupazione ricerca e innovazione.
Per ora il governo ha assegnato a questi capitoli cifre non sufficienti. Una scelta sbagliata perché senza un aumento significativo dei redditi netti la recessione e la deflazione in Italia dureranno ancora a lungo.
La nostra è un’impostazione diametralmente opposta a quella di chi vorrebbe destinare le poche risorse stanziate per il lavoro e le imprese ad altre funzioni. Apparirebbe una ripicca quando invece si tratta di un errore di politica economica. Il tema che poniamo al governo e al Parlamento non è quello di stiracchiare una coperta troppo piccola ma di allargarla, di renderla più grande, di aumentare le risorse, farle diventare strutturali e progressive per sostenere la domanda interna e quindi l’occupazione, per dare a tutti le indispensabili tutele, per favorire e indirizzare la crescita e lo sviluppo del Paese.
Sulla tassazione del patrimonio immobiliare, una misura che esiste in tutta l’Europa, chiediamo che sia commisurata progressivamente al numero di case possedute, al loro valore, al reddito delle persone che vi abitano e che siano i Comuni ad avere i margini di accertamento e valutazione. È su questi punti concreti, su queste proposte di merito che i lavoratori si stanno mobilitando e continueranno a farlo anche nei prossimi mesi. Non per difesa «corporativa», ma perché senza un impegno costante del governo e del Parlamento per combattere la disoccupazione, per dare un lavoro e un reddito alle persone non c’è futuro e non c’è prospettiva per il Paese


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