L’ira dei giganti del web contro Obama

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NEW YORK – Traditi dai servizi segreti coi quali, pure, collaboravano. Offesi dall’atteggiamento di Barack Obama, il leader che hanno sostenuto con tutto il loro impegno in due campagne elettorali. Ma, soprattutto, spaventati perché tutto questo mette in pericolo il loro business che è basato sulla fiducia degli utenti che animano i «social network» e interrogano i motori di ricerca. I big di Internet sono furibondi e ora, dopo le ultime rivelazioni su come la Nsa raccoglie tutte le informazioni che transitano per Google e Yahoo setacciando anche i loro «datacenter» all’estero, passano al contrattacco: Apple, Google, Facebook, Microsoft, Yahoo e Aol, tutte le grandi firme della rete, hanno scritto al Senato di Washington chiedendo il varo di una legge che le metta al riparo da questo spionaggio indiscriminato.
Silicon Valley chiede, inoltre, che a far parte del tribunale segreto che sorveglia la Nsa venga chiamato anche un difensore civico della «privacy» capace di tutelare i diritti civili degli utenti: una proposta contenuta anche in una proposta di legge del presidente della Commissione Giustizia del Senato, Pat Leahy che, però, fin qui non ha fatto molta strada. Anzi Dianne Feinstein, potentissima presidentessa della Commissione Intelligence del Congresso, pur avendo messo sotto accusa la Nsa per lo spionaggio dei cellulari dei leader europei alleati dell’America, sta facendo passare una leggina che legittima pienamente la sorveglianza sul traffico telefonico e wireless interno.
Le industrie della Silicon Valley, che hanno snobbato a lungo il Congresso, negli ultimi anni si sono dotate di potenti strutture di «lobbying» (soprattutto Google e Facebook) e ora sono decise a usare tutta la loro influenza sui parlamentari, come hanno già fatto con durezza nello scontro con l’industria cinematografica di Hollywood sul Sopa: la legge, proposta quasi due anni fa, per la protezione del diritto d’autore e contro la pirateria online.
Quella battaglia l’hanno vinta, ma stavolta spuntarla con l’intelligence federale sarà molto più dura. I giganti di Internet lo sanno e corrono ai ripari anche provando a «blindare» i loro sistemi: fin qui non hanno crittato le loro comunicazioni interne perché la procedura è complessa e costosa e perché pensavano di essere al riparo da questo tipo di spionaggio, data la vasta collaborazione assicurata ai servizi segreti. Ma adesso Google ha deciso di crittare tutto. E anche Facebook userà codici segreti almeno per parte delle sue comunicazioni . Google si sta anche dotando di una rete privata di cavi a fibre ottiche in modo da creare flussi di dati ancora più difficili da intercettare.
I tecnici responsabili della protezione delle reti aziendali ormai parlano del loro lavoro come della sfida di un videogioco nel quale si combatte contro l’intrusione di hacker. Solo che qui gli hacker sono le spie federali.
«È vergognoso, è urgente una riforma» è esploso ieri, dopo le ultime rivelazioni, il consigliere generale di Google David Drummond che è, praticamente, il responsabile degli affari legali del gruppo. Un’altra fonte interna delle industrie digitali che preferisce restare anonima nota: «Abbiamo sempre collaborato, ci avevano assicurato che non ci avrebbero spiato, che non ce n’era motivo. Sospettavamo qualcosa, ma non di queste dimensioni e così capillare. Qui siamo veramente al furto».
La Nsa replica sostenendo che tutte le sue azioni, per quanto possano essere percepite con fastidio, sono sempre rimaste nel perimetro di ciò che è consentito dalla legge. Ma, dopo aver messo in pericolo il rapporto con gli alleati europei, ora le rivelazioni di Snowden hanno fatto a pezzi la «relazione speciale» di Obama con quelle industrie che inneggiavano a lui come al primo «tech president» della storia americana.
Cinque anni fa l’attuale presidente di Google, Eric Schmidt, entrò addirittura a far parte del «gabinetto di transizione» del leader appena eletto dagli americani e non ancora insediato alla Casa Bianca. Adesso, quando ad agosto Obama ha invitato i capi delle aziende di Internet alla Casa Bianca per discutere dei problemi della sorveglianza, si è sentito rispondere con un secco «no, grazie» del fondatore e amministratore delegato del gruppo di Mountain View, Larry Page, che gli ha mandato un funzionario.
Massimo Gaggi


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