“Sul clima basta promesse adesso i governi devono agire”

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«Quanti altri disastri del genere saremo costretti a vedere prima che i governi si decidano a reagire chiudendo il rubinetto dei gas serra? Possibile che continuino a rinviare le decisioni da cui dipende la nostra sicurezza?» Pascal Acot, lo storico del clima che segue da anni le trattative internazionali sul cambiamento climatico, è colpito dal contrasto tra l’intensità del tifone che ha devastato le Filippine e la debolezza della conferenza mondiale sul clima in corso a Varsavia.
Eppure, nel quinto rapporto del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) di settembre, gli scienziati Onu hanno dimostrato il rapporto tra il consumo dei combustibili fossili e l’aumento dei fenomeni estremi, come alluvioni e uragani.
«Questo dovrebbe indurre a misure radicali. Ma tra la strada che gli scienziati hanno indicato e quella che stiamo seguendo c’è un abisso. Dovremmo tagliare le emissioni serra dell’80% entro il 2050 e stiamo programmando la loro crescita. Dovremmo passare alle fonti rinnovabili e all’efficienza ed è partita la caccia allo shale gas (o gas da argille: è il gas naturale che viene estratto dalle rocce ndr.) ».
Alla conferenza di Varsavia si discute dei piani da adottare per diminuire le emissioni serra. Ma le resistenze dei paesi di nuova industrializzazione, a cominciare dalla Cina, hanno fatto slittare al 2015 la definizione dell’accordo internazionale che non entrerà in vigore prima del 2020. Sono tempi accettabili?
«Il tempo accettabile, cioè quello che permetterebbe di ridurre in modo sensibile il danno, è ora: ogni giorno di rinvio aumenta il rischio e aggrava il bilancio delle vittime future. Andrebbero messe immediatamente in campo le misure necessarie. A cominciare dal taglio dei sussidi ai combustibili fossili che ricevono una quantità di aiuti economici parecchie volte superiore a quella stanziata per sostenere l’energia pulita».
Ma una parte del danno climatico ormai è inevitabile. Cosa potrebbero fare i governi per ridurre l’impatto di uragani ingigantiti dalla crescente differenza di temperatura tra oceani e atmosfera?
«Potrebbero fare molto: informazione della popolazione, prove di allerta, difesa delle aree più vulnerabili, programmazione delle nuove infrastrutture per diminuire il rischio. Ma pochi lo fanno».
E ottengono qualche risultato?
«Certo. Quando ho visto le immagini dei bambini che emergono dalle macerie dei villaggi delle Filippine mi si è stretto il cuore, anche perché ho pensato che una parte di quelle vittime si poteva evitare adottando piani di mitigazione del cambiamento climatico più efficaci».
Chi ha cominciato a organizzare la risposta al caos climatico?
«Dal punto di vista della prevenzione del global warming, della battaglia contro i gas serra, la leadership è europea, anche se le misure finora adottate sono molto deboli. Dal punto di vista della riduzione degli effetti basta guardare ai Caraibi. Nel 2005 Katrina ha devastato Florida e Louisiana e il danno è stato enormemente moltiplicato dalla mancanza di misure di sicurezza elementari. Tre anni dopo un uragano molto violento è passato su Cuba senza fare vittime grazie all’efficienza della macchina della protezione civile».


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