Alfano: inasprire le norme che isolano i boss dalle cosche

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ROMA — «I mafiosi sappiano che, se provano a fare uscire informazioni-ordini dal carcere, siamo pronti ad inasprire, ancora di più, il carcere duro». Alza la voce il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. E alla vigilia del Consiglio dei ministri che esaminerà il pacchetto carceri del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, con le misure di alleggerimento della situazione di sovraffollamento censurata ieri dal capo dello Stato, il vicepremier si rivolge a Totò Riina e ai suoi sodali e minaccia un inasprimento del 41 bis.
Era stato proprio il boss dei boss, durante l’ora d’aria con il detenuto pugliese Alberto Lorusso nel carcere milanese di Opera, a pronunciare una frase sul pm del procedimento sulla trattativa Stato-Mafia, Nino Di Matteo, che, intercettata, era suonata come una minaccia di morte. «Tanto sempre qui al processo deve venire», aveva detto Riina commentando le ipotesi di trasferimento del magistrato in una località segreta. Parole che, unite ad altri segnali e minacce, avevano aumentato i timori sull’incolumità del magistrato al punto da ipotizzare di farlo spostare su un blindato «lince». Offerta declinata dal pm, che è stato però costretto, la scorsa settimana, a disertare l’importante seduta del processo con l’interrogatorio del pentito Giovanni Brusca.
Dal ministero della Giustizia e da quello dell’Interno smentiscono che nel pacchetto carceri oggi all’esame del Consiglio dei ministri ci sia un provvedimento sul 41 bis. Ma ieri Alfano, al termine della riunione della commissione nazionale Antimafia nella prefettura di Milano, è tornato sulla vicenda Di Matteo. E ha assicurato: «Lo Stato è dalla parte dei magistrati e metterà a disposizione tutti i mezzi tecnologici e di sicurezza per salvaguardare la loro vita». A Totò u’ Curtu, ancora detenuto nel carcere di Opera, e agli altri detenuti al 41 bis, il leader del Ncd ha mandato a dire: «Ogni attacco ai magistrati è un attacco allo Stato». Guai, ha avvertito il ministro, a far uscire «ancora, informazioni o comunicazioni, dalle carceri, lo Stato è pronto a inasprire, ancora di più, il regime del carcere duro. Non avremo nessuna timidezza».
Strumento insostituibile per interrompere la consuetudine dei boss di continuare anche dopo l’arresto a inviare ordini, anche di morte, fuori dalle sbarre, il regime del 41 bis si basa su controlli particolarmente accurati e alcune restrizioni.
Ma a sentire chi ogni giorno si trova a dover fare i conti con boss e criminali pericolosi, gli agenti penitenziari, «il 41 bis funziona, ma non è applicato del tutto». Spiega Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato degli agenti di custodia: «Ci dovrebbero essere due agenti ogni 50 detenuti al 41 bis. Purtroppo, invece, per carenza di personale, spesso ce n’è uno solo». Così, inevitabilmente il livello di vigilanza, risulta attenuato: «Se si volesse ottimizzare il personale — suggeriscono gli agenti — bisognerebbe spostare qualche agente delle sezioni comuni e destinarlo a quelle di massima sicurezza. Purtroppo invece tutta l’attenzione è per la custodia attenuata». Non solo. Gli agenti penitenziari lamentano anche la «promiscuità» delle sezioni miste. «Servirebbero — aggiunge Capece — istituti specializzati per detenuti di massima sicurezza. Invece attualmente accanto ai 41 bis, ci sono sezioni per tossicodipendenti, e magari per detenuti protetti come i violentatori. Ma nella promiscuità non riusciamo a mantenere la sicurezza»
Virginia Piccolillo

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Cos’è il 41 bis e come funziona

1 Che cosa si intente con regime in 41 bis?
È il cosiddetto carcere duro: un regime di custodia carceraria con restrizioni e controlli speciali.
2 Quando è stato introdotto?
Nel 1986 per dissuadere da rivolte in carcere. L’idea di estenderlo ai mafiosi fu di Giovanni Falcone. Lo ottenne solo dopo la sua morte. Nella forma attuale venne introdotto l’8 giugno ‘92, all’indomani della strage di Capaci.
3 Quanti erano al debutto i detenuti al 41 bis?
Nei primi 6 mesi più di mille detenuti di mafia. Fu questo uno dei punti cruciali della trattativa Stato-Mafia. Tra il ’92 e il ’93 si passò da 1.041 a 481. Ad influire sulla drastica diminuzione furono le decisioni della Corte costituzionale e dei Tribunali di sorveglianza. Ma anche la decisione dell’ex ministro della Giustizia Conso che inserì 300 detenuti nel circuito ordinario: secondo il pm Nino Di Matteo si acconsentì alle richieste dei boss.
4 Quanti sono attualmente?
I dati più aggiornati ne contano 704. L’ex Guardasigilli Paola Severino, lo scorso anno in Antimafia, riferì che al 41 bis c’erano 679 reclusi, di cui 4 donne, inclusa la br Nadia Desdemona Lioce: tra questi 272 camorristi, 208 mafiosi, 47 dei clan pugliesi, 7 della Stidda e 3 terroristi.
5 Quali sono le modalità di applicazione?
La norma ha carattere di temporaneità: la sua
efficacia, inizialmente, era limitata ad un periodo di tre anni ed è stata prorogata una prima volta fino al
31 dicembre 1999, una seconda volta fino al 31 dicembre 2000 ed una terza volta fino al 31 dicembre 2002. In quell’anno, il 41 bis fu attenuato: si stabilì che la sua durata non potesse essere inferiore all’anno e non potesse superare i due, e che le proroghe successive potessero essere solo di un anno ciascuna. Nel 2009 si tornò ad estenderne la durata fino a quattro anni, con proroga solo ogni due.
6 Quali restrizioni prevede?
Un numero minore di colloqui con i familiari, tutti attraverso un vetro blindato e video-registrati per controllare che non vi siano contenuti più messaggi in codice. Non più di tre colloqui a settimana con i legali. Massimo due ore d’aria al giorno e con non più di 4 persone. Pene più alte per chi aiuta i detenuti a comunicare con l’esterno con pizzini o altro.
7 Sono state mosse critiche al 41 bis?
Secondo l’associazione radicale Ristretti orizzonti, tra i reclusi al 41 bis è più alta del 3,5% l’incidenza dei suicidi . «Ogni occasione è buona per inasprire il 41 bis», ha detto ieri il radicale Maurizio Turco.


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