Ispezioni a tappeto nei Cie in rivolta Alfano ordina controlli sulle spese

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ALFANO e Renzi, Renzi e Alfano. Tra Ponte Galeria e Lampedusa. Dove esplode il bubbone dei Cie, i famigerati centri in cui sono di fatto “detenuti” gli immigrati in attesa di essere espulsi. La protesta dilaga, diventa ormai un ingombrante caso politico, e i due leader del Pd e del Nuovo centrodestra s’inseguono mediaticamente con le soluzioni possibili.

ANGELINO Alfano, da ministro dell’Interno, ha una doppia responsabilità e studia soluzioni tecniche rapide che abbiano un impatto forte. Potrebbe partire subito una task force per verificare come sono stati spesi i soldi messi in bilancio per i Cie. Ma nella strategia del ministro c’è anche l’invio di gruppi di ispettori che, centro per centro, verifichino che cosa sta effettivamente succedendo.
Matteo Renzi invece conferma la sua battaglia contro la legge Bossi-Fini. In tv, da Fazio, eccolo esporsi e promettere: «La cambieremo, garantisco io». È da sempre nei suoi programmi, questo è noto, lo ha ripetuto tante volte durante la lunga corsa verso la segreteria del Pd, così come ha ribadito il principio dello ius soli (diventa italiano chi nasce in Italia), ma adesso quel «garantisco io» ha un valore strategico importante.
Conta il momento in cui viene pronunciato, mentre dieci immigrati chiusi nel Cie di Ponte Galeria hanno ancora la bocca cucita per mostrare fisicamente la potenza della rivolta, mentre nello stesso centro altri stranieri sono in sciopero della fame, mentre a Lampedusa il deputato Pd Khalid Chaouki si chiude nel Cie per essere vicino a chi ha subito l’onta della pubblica doccia disinfestante. E facce note del Pd sono con lui, come Livia Turco.
Sono passi importanti, e se tutto non si addormenterà per Natale, la situazione degli immigrati in Italia potrebbe cambiare davvero. Come dice Domenico Manzione, l’ex procuratore di Alba e prima pm a Monza, Lucca e Firenze, oggi sottosegretario all’Interno con delega per l’immigrazione, anche lui di ispirazione renziana, «qui il problema non è di questo o di quest’altro Cie, il problema sono tutti i Cie, è l’idea stessa del Cie che deve essere ripensata dalle fondamenta, altrimenti non se ne esce».
Alfano parte, intanto, da un dato concreto, capire che cosa sta succedendo, verificare se ci sono stati dei soprusi o se sono state commesse delle illegalità, soprattutto chiarire la gestione dei soldi. I Cie, ovviamente, hanno un loro budget, adesso Alfano vuole conoscere i dettagli di come vengono spesi gli stanziamenti, soprattutto per venire a capo della manifesta sproporzione tra quanto viene destinato a queste strutture, le quali poi, alla prima ripresa televisiva, si rivelano in tutto il loro profondo squallore. In un Cie — il Centro di identificazione ed espulsione — un immigrato dovrebbe restarci solo 96 ore, quattro giorni e non di più, invece a Lampedusa, quelli della nave affondata, ci vivono dal 3 ottobre. E ovunque è così per via dei ritardi delle procedure.
Da luoghi di soggiorno temporaneo, ecco che i Cie diventano squallide “case”, in cui le associazioni continuano a denunciare spaventose carenze. Le foto parlano chiaro. Carceri di fatto, ma senza diritti, senza reato, senza tempo, in uno stato ben peggiore di quello già pessimo delle regolari celle dei penitenziari.
Ha detto Alfano alla Camera appena l’altro ieri parlando di Lampedusa e della “doccia” anti scabbia: «Non siamo disponibili a transigere sui principi umanitari e costituzionali. Nessuna clausola o condizione contrattuale potrà mai presupporne un affievolimento o una loro ridotta tutela». Belle parole, ma adesso il ministro vuole capire, con le visite dei gruppi ispettivi, se il degrado delle strutture, che poi provocano le proteste, gli scioperi della fame, gli incatenamenti, sono frutto di bilanci troppo esigui oppure di cattiva gestione per quale i responsabili — che il ministro intende individuare — dovranno rispondere.


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