Letta, 20 giorni di tempo per chiudere il contratto Poi via al «rimpastino»

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ROMA — Enrico Letta ha iniziato a scrivere il Contratto di governo. Ha poco più di 20 giorni per metterlo nero su bianco, concordarlo con gli alleati e presentarlo alla stampa. Renzi permettendo. La corsa contro il tempo è dettata dallo stato delle cose e dal fatto che il 29 gennaio il presidente del Consiglio si troverà davanti all’intera commissione europea per una sorta di bilancio congiunto. Arrivare a Bruxelles senza aver chiuso il Contratto non sarebbe opportuno.
L’opera di scrittura è iniziata, ovviamente coordinata con i ministri, mettendo insieme pezzi di dossier diversi e aspettando su alcuni punti il 16 gennaio, giorno in cui la segreteria del Pd formalizzerà il tanto discusso e annunciato job act. Letta però non ha ancora deciso il metodo che verrà seguito. C’è ottimismo per l’incontro fra Renzi e Alfano almeno su una delle proposte di legge elettorale avanzate nel Pd, ma anche un pizzico di indecisione sulle modalità degli incontri che dovrebbero cominciare già questa settimana.
Renzi e Letta si vedranno insieme ad Alfano o gli incontri saranno bilaterali? Nonostante le telefonate di queste ore, fra i protagonisti non c’è ancora una decisione. E non è nemmeno detto che i lavori per la definizione del Contratto vengano seguiti in prima persona dai leader: sino ad un certo punto l’opera di scrittura ed intesa potrebbe essere delegata agli sherpa dei singoli attori, per una sorta di prima fase.
Sembrano dettagli secondari, ma a Palazzo Chigi non li sottovalutano: chi ben comincia è a metà dell’opera, dice l’adagio, e Letta ragiona in queste ore anche sul proprio ruolo. Dovrà esercitare una mediazione ed un ruolo di sintesi, ma non ha ancora deciso se farlo con un’iniziativa ufficiale di coordinamento da parte di Palazzo Chigi oppure con un lavoro che può essere più proficuo lontano dai riflettori, almeno sino al momento della sigla del documento.
Con il distacco che i detrattori gli contestano (ieri Gasparri ha paragonato Letta al segretario generale di Palazzo Chigi, un ruolo di alta amministrazione, vero premier Renzi) il capo del governo sembra aver smaltito la rabbia per la vicenda Fassina («bisogna anche considerare come fisiologici alcuni scossoni post congressuali», dicono nel suo staff) e attende le motivazioni con cui la Consulta ha bocciato la legge elettorale vigente. Solo allora infatti, fra una settimana circa, il dibattito sulla legge elettorale godrà di tutti gli elementi indispensabili per arrivare ad un accordo.
Un incontro di chiarimento politico con Renzi, che potrebbe incrociare l’inizio dei lavori sul Contratto, non è in agenda al momento a Palazzo Chigi, il che non esclude che possa verificarsi nelle prossime ore o giorni. Di certo, almeno a parole, nello staff del premier non lo ritengono indispensabile per chiarire qualcosa, se non i contenuti dell’accordo di coalizione.
Accordo dal quale la legge elettorale potrebbe anche restare fuori, o diventare solo un allegato da rivolgere all’attenzione del Parlamento, come elemento di indirizzo politico per la maggioranza che dovrà approvarlo e tradurlo in norme. Se le proposte sul lavoro e sulle riforme istituzionali, con intesa politica parallela, possono anche impegnare il governo in modo dettagliato e formale, quelle sulla disciplina elettorale invece potrebbero essere trattate in modo diverso, almeno per non ledere il ruolo delle Camere.
Distinzioni che appaiono forse bizantine e formali ma sulle quali tutti in queste ore stanno riflettendo, così come sui posti al momento vacanti nel governo: 5 sottosegretari, due viceministri e poi forse un altro paio di caselle che Renzi potrebbe rivendicare. In tutto fanno almeno dieci volti nuovi, che Letta vorrebbe confinare nella cornice di un rimpastino senza scossoni e che di sicuro non verranno decisi sino a quando non sarà stata messa l’ultima parola sul Contratto di coalizione del 2014. Per Letta un’assicurazione sulla vita del suo governo, con tanto di proposte e obiettivi legati al semestre di presidenza italiana della Ue. Dunque con un orizzonte temporale che lega tutti i firmatari ad un patto che non potrà scadere prima della fine dell’anno. Venti giorni, più o meno, per riuscirci.
Marco Galluzzo


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