«Io mi sto giocando tutto» La partita decisiva del sindaco e la distanza con il premier

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Per la verità ha avuto una telefonata con il leader del Nuovo centrodestra anche prima dell’incontro con Silvio Berlusconi, però c’è una seconda puntata. Il sindaco di Firenze spiega ai suoi che il vicepremier è preoccupato e quindi molto disponibile. Forse lo vedrà oggi per chiudere definitivamente. Renzi chiama anche il Quirinale, per spiegare nei dettagli i passi avanti fatti con Berlusconi. «È tutto molto delicato», dice poi ai suoi.
Talmente delicato che il leader del Pd non sente il bisogno di un colloquio con il presidente del Consiglio subito dopo l’incontro con il Cavaliere. Solo alle nove di sera il sindaco risponde a un sms del premier che non è riuscito a contattarlo e che vuole sapere come sia andata perché è all’oscuro delle trattative finali. Renzi dice a Letta di non intervenire e di starsene da parte: il momento è troppo delicato ed è meglio che l’inquilino di Palazzo Chigi, che non ha seguito la mediazione, non intervenga e lasci giocare i protagonisti della trattativa. Del resto, Renzi lo ha detto mille volte, anche in passato: «Il governo non si occupi della materia elettorale, perché spetta ai partiti». E in effetti così è. Il segretario sta facendo più parti in commedia, pur di arrivare al risultato finale. «Non mi importa del rimpasto, non mi interessano i diverbi nei partiti. So che mi sto giocando tutto: la faccia e anche la testa. Ma l’accordo per la nascita della Terza Repubblica è a un passo e non possiamo sprecare questa occasione».
Perciò in questa fase preferisce parlare con Alfano o con il Cavaliere, che con Letta. L’accordo è praticamente fatto e non vuole interferenze esterne. Né vuole ascoltare le proposte di rimpasto o le offerte per un patto che duri lo spazio di un anno. Ora, spiega, la priorità è Berlusconi. Non perché il Cavaliere lo abbia affascinato. Tutt’altro. Ma perché è solo tramite lui che si può «cambiare il sistema elettorale e mandare in porto l’abolizione del Senato e la modifica del Titolo quinto della Costituzione». Ma Renzi non fa nessuna concessione a Berlusconi. Il quale, accolto da Lorenzo Guerini, che è diventato il plenipotenziario del segretario in «terra romana», appena si accomoda sul divano, proprio sotto una foto di Bob Kennedy, tenta di andare al sodo: «Allora, caro Matteo,quando mandiamo a casa questo governo?». Ma il segretario del Partito democratico da quell’orecchio mostra di non volerci sentire: «Così cominciamo malissimo, mi vuoi mettere in difficoltà? Il governo non è in discussione». Della serie, mettiamo i puntini sulle i. E Renzi ha talmente tanta fretta di metterli che alla fine dell’incontro con il leader di Forza Italia pone un’ulteriore condizione. Chiede che Berlusconi nel videomessaggio dica pubblicamente — e palesemente — «sì» alle altre riforme. A quelle costituzionali, che abbisognano di un anno di tempo e che fugano i dubbi sulla possibilità di un accordo tra il sindaco e Berlusconi che punti a staccare la spina anzitempo alla legislatura.
Il leader di Forza Italia mantiene la parola data, anche perché, come confesserà poco più tardi: «Renzi è troppo simpatico. È veramente nuovo». Ma l’uomo nuovo non vuole farsi impaniare nelle logiche vecchie. Per questo, dopo l’incontro parla il minimo indispensabile. Eppure sa bene che Berlusconi questa volta non potrà rovesciare il tavolo, per il semplice fatto che finora era un «intoccabile» e lo sarà di nuovo se straccia l’accordo con Renzi. Come sa, perché lo ripete più volte ai suoi, che Alfano è «disponibile» al confronto e alla mediazione.
Certo, ci sono i bersaniani che insistono, fanno pressioni e minacciano divisioni, ma non è che gli incutano un grande timore. Sono meno della metà del 18 per cento che alle primarie ha votato in suo favore. E non hanno nemmeno una sponda a sinistra. Basta sentir parlare Nichi Vendola: «Io l’accordo lo farò con Renzi, uomo nuovo e simpatico, frutto della Terza Repubblica. Non lo faccio certo con Fassina o Cuperlo che mi propongono il Letta bis. E questa sarebbe la sinistra del Partito democratico? Siamo messi veramente bene».
E infatti Renzi non sembra temerli in vista della direzione di domani: «So che siamo a uno snodo decisivo ma so anche che o chiudiamo adesso o non chiudiamo mai più. Del resto, so anche che posso farlo solo io. L’unico legittimato da un voto popolare a trattare persino con Berlusconi».
Già, perché, come notano i renziani, gli altri interlocutori del segretario non hanno ricevuto la legittimazione popolare da un voto. Né Alfano, né Letta. «Perciò — spiega Renzi ai suoi — vado avanti e chi la dura la vince» .
Maria Teresa Meli


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