E al Nazareno Silvio resuscita

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 UN ESERCITO di carabinieri è schierato a proteggere un pregiudicato da cittadini incensurati, invece del contrario. Nella folla spicca l’indomito Gianfranco Mascia e piccoli pezzi del fu popolo viola, insieme a elettori di Renzi delusi.
L’hanno votato l’8 dicembre in massa per farla finita con vent’anni di inciuci e soltanto quaranta giorni dopo ecco qui l’uomo nuovo già in trattative col vecchio diavolo. Ma a parte la forma, di cui si è discusso fin troppo, conta alla fine la sostanza. In questo caso, piuttosto inquietante. L’accordo raggiunto riguarda il «modello spagnolo», anche se nessuno dei due leader ha il coraggio di dirlo a chiare lettere. Con il suo fiuto infallibile per l’illegalità, Berlusconi ha scelto fra le proposte di Renzi non solo la peggiore, ma anche l’unica potenzialmente più incostituzionale del porcellum. La Costituzione, del resto, non gli è mai piaciuta. Il nuovo sistema prevede sempre liste bloccate e un premio di maggioranza. In pratica, per effetto del combinato disposto fra le due soglie di sbarramento e il premio di maggioranza del 15 o 20 per cento, un partito anche se resta lontano dal 50 per cento dei voti potrebbe ottenere una maggioranza assoluta in Parlamento. La bocciatura della Corte Costituzionale è possibile se non verrà introdotta una soglia di accesso al premio. Il cosiddetto modello spagnolo, per inciso, sarebbe forse incostituzionale anche in Spagna, dove infatti il premio di maggioranza non esiste.
Lo stesso Matteo Renzi, uomo non facile all’imbarazzo, in conferenza stampa non cita mai l’oggetto principale dell’accordo. La prende alla larga, parla della riforma del titolo V della Costituzione e di abolire il bicameralismo, tutte cose che richiedono molto tempo, e rimanda a domani i dettagli sulla legge elettorale.
Poi chiude in fretta perché non vuole perdere l’ultimo treno, che suona bene come metafora.
Al segretario del Pd bisogna riconoscere di essere un leader coraggioso. Fa una certa impressione vederlo camminare su un filo sospeso nel vuoto. Il suo è un azzardo notevole. Non ha alcuna garanzia che Berlusconi rispetterà gli accordi presi, nessuno l’ha mai avuta. Il patto col diavolo era necessario in ogni caso per smuovere un quadro politico abbarbicato allo status quo e sempre più affezionato all’idea di trascinare l’emergenza delle larghe intese all’infinito, magari con l’aiuto di Grillo.
L’unico modo che ha per cambiare le cose è dettare l’agenda politica ogni giorno, come, in effetti, sta facendo dall’8 dicembre e nessun leader del centrosinistra
aveva mai fatto negli ultimi vent’anni. Al primo passo falso, però, è morto. Nella migliore delle ipotesi la mossa dell’accordo con Berlusconi servirà per avviare le riforme che il governo promette e rinvia da nove mesi. Nella peggiore, non se ne farà comunque nulla e lui si sarà messo nelle mani del più inaffidabile socio mai visto all’opera nella storia della politica italiana.
Silvio Berlusconi, al contrario, non ha nulla da perdere. La mossa di ieri è stata la migliore trovata propagandistica da quando ha accettato l’invito di Santoro a Servizio Pubblico. Le visite nella tana del nemico, dai tempi della Bicamerale con D’Alema, sono la migliore delle vie d’uscita in tempi di crisi. Con il patto di Largo del Nazareno, Berlusconi si rilancia come leader riformatore e modernizzatore agli occhi dei propri elettori, ricompatta il partito e divide l’avversario. Dopo mesi di prime pagine su condanne, olgettine e cane Dudù, è un bel risultato.
La giornata dell’incontro fra Renzi e Berlusconi segna in ogni caso uno spartiacque. Da ieri la seconda repubblica è finita. Si può soltanto entrare nella terza o ritornare alla prima.


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