E i veri grandi predoni rimangono “scudati”

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Tra il 2012 e il 2013 – secondo la Confcommercio – sono stati sottratti al Fisco 272 miliardi l’anno. Il sommerso vale il 17,4 per cento del nostro Prodotto interno lordo del biennio preso in considerazioni. “Penso che in Italia esista un’evasione di sopravvivenza”, ha ammesso quattro mesi fa Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate. Non v’è dubbio. Il punto è però un altro: è l’evasione in grande stile che, in Italia, sopravvive benissimo. E da decenni. Basti analizzare – come vedremo – in che modo è stato congegnato lo “scudo fiscale”.
È CERTO che la Guardia di finanza, per esempio, dispiega le sue forze per arginare il fenomeno: 2.523 interventi nel 2012 – dati di una relazione parlamentare – con conseguente recupero di 7,2 miliardi. E ancora: 8.617 evasori fiscali individuati, sempre nel 2012, con un incremento del 15 per cento rispetto al 2011. Nel 2012 le fiamme gialle hanno eseguito 101.484 verifiche e oltre 650 mila controlli strumentali individuando oltre 56 miliardi di basi imponibili non dichiarate e 4,8 miliardi di Iva dovuta e non versata. Ma c’è il rovescio della medaglia: non basta scoprire l’evasione, è necessario recuperarla, e gli accertamenti dell’Agenzia delle entrate dimostrano che il complesso di imposte evase ma non riscosse – e chissà se mai riscuotibili – ammonta a ben 545 miliardi.
UNO STUDIO Istat del 2010 – relativo al 2008 – quantificava il sommerso economico tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cioè tra il 16,3 e il 17,5 del Pil: una lieve flessione, rispetto al 2000, quando s’attestava tra i 217 e i 228 miliardi, variando tra il 18,2 e il 19,1 del Pil. Ma torniamo al 2012: “Il recupero dell’evasione – sostiene una relazione presentata dal premier Enrico Letta e dal ministro delle Finanze Maurizio Saccomanni – ha comportato riscossioni per 12,5 miliardi, consolidando il dato del 2011, con un aumento dell’80 per cento negli ultimi 5 anni: nel 2008 ammontavano a 6,9 miliardi”. E ancora: “L’attività di controllo svolta nel 2012 dall’Agenzia delle entrate ha conseguito una maggiore imposta di 28,6 miliardi con 741.331 accertamenti”. C’è poi lo strumento del nuovo redditometro, per individuare eventuali evasori analizzando il reddito e le loro spese, che ormai racchiude cento voci di spesa racchiuse nelle macro-categorie di “Consumi generi alimentari, abbigliamento e calzature”, “abitazione”, “combustibili ed energia”, “mobili, elettrodomestici e servizi per la casa”, “sanità”, “trasporti”, “comunicazione”, “istruzione”, “tempo libero, cultura e giochi”, “altri beni e servizi” e “investimenti”. Un controllo capillare per cittadini nella media che stride, però, con la “riservatezza” destinata ai grandi evasori con lo scudo fiscale del 2010. E vediamolo con gli occhi di uno studio stilato – senza alcuna retorica e molto duramente – da Fabio Di Vizio, sostituto procuratore del tribunale di Pistoia.
ANCHE in questo caso partiamo da alcuni dati: dal 15 settembre 2009 al 30 aprile 2010 sono state presentate 206.608 “dichiarazioni riservate delle attività emerse”: parliamo dello “scudo fiscale” che ha portato a “scudare” attività finanziarie, immobiliari e altri investimenti per 104,5 miliardi di euro. E Di Vizio commenta: “Il dato ministeriale parrebbe evocare un rientro fisico in Italia di attività (già) estere per oltre 100 miliardi. Parrebbe, perché in realtà la maggior parte delle risorse ‘rimpatriate’, sono rimaste esattamente là dove si trovavano. Ammesso che là si trovassero e si trovino, circostanza non scontata e non verificabile”. Insomma: lo Stato non s’è dato gli strumenti per verificare. Ben 179 mila persone – con una media di 400 mila euro ciascuno – hanno ‘scudato’ senza “l’obbligo di documentare la provenienza, l’esistenza e la preesistenza delle attività”. La metà – il 50,3 per cento – ha adottato il “rimpatrio giuridico”, che consente di mantenere all’estero le attività finanziarie scudate, “affidate a fiduciarie presso Stati extracomunitari non collaborativi e addirittura non equivalenti in termini di anti-riciclaggio”. E quindi “senza nessuna possibilità concreta di controllo circa l’esistenza, l’entità, il periodo di accumulazione e l’origine dei fondi”.
E ANCORA: “Nei Paesi dove il dato è stato suscettibile di controllo giudiziale, alla data del 31 dicembre 2008, molte delle somme ‘scudate’ non erano detenute all’estero. Vi hanno trovato rifugio solo dopo l’inizio dello ‘scudo’. Ed è facile immaginare cosa può essere avvenuto nei Paesi dove non opera alcuno scambio d’informazioni fiscali e non v’è stata occasione di indagine penale”. È facile immaginare – cioè – che quei soldi, all’estero, non vi siano mai stati. E Di Vizio conclude: “Sono state confuse, se non precluse, verifiche fiscali e penali proprio nei confronti di coloro che hanno commesso in passato violazioni fiscali, plausibilmente i più esperti e propensi a ripeterle. Un’immunità soggettiva nauseante”.


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