I capitali speculativi preoccupano la Cina

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PECHINO. C’è uno spauracchio che agita il sonno dei vertici cinesi, più della crescita del Pil inchiodata al 7,7, più della voragine del debito degli enti locali che sta erodendo il sistema creditizio, inclusi giganti come Icbc e China Trust.
È l’andamento della bilancia dei pagamenti o, meglio, la presenza sempre più evidente di anomalie nell’inflow di hot money. Anomalie così gravi da far pensare all’introduzione in Cina della Tobin Tax: l’ha ventilato il vice governatore della Banca centrale a inizio anno, Yi Gang, che è anche capo di Safe (State administration of Foreign Exchange), in un articolo su Qiushi, rivista del Partito comunista, l’ha ribadito ieri Guan Tao, che di Safe è il responsabile del Dipartimento della bilancia dei pagamenti, in un briefing allo State Council, rigorosamente in cinese.
Anomalie destinate ad acutizzarsi con il temuto tapering degli Usa che mette ancor più a rischio la volatilità dello yuan, un tema che è rimbalzato tra i gruppi di lavoro del World economic forum di Pechino, con le dichiarazioni di Liu Mingkang, ex presidente della China Banking Regulatory Commission, secondo cui «il taglio alle misure di stimolo creerà una volatilità enorme».
In conferenza Guan Tao ha detto che «la Cina non ha visto alcun impatto sostanziale sui flussi transfrontalieri di capitali, finora, e ha la capacità di resistere a qualsiasi urto possibile in futuro, date le sue ampie riserve valutarie». Tanto ampie, da poter essere il vero problema: le riserve della nazione hanno toccato la cifra record di 3.820 miliardi dollari a fine dicembre. Quelle in valuta estera hanno toccato il record di 508 miliardi di dollari nel 2013, indicando il fiume di denaro affluito in Cina a fronte di movimenti di merci e investimenti. Perfino il National bureau of statistic lunedì scorso quando ha rivelato i numeri dell’andamento cinese del 2013 ha dovuto rispondere alle domande sui picchi sospetti di maggio e novembre: crescita anomala dell’import-export presumibilmente gonfiato per permettere i movimenti di valuta estera.
Per non parlare dell’effetto yuan, l’oscillazione può divergere al massimo del’1% contro il dollaro, il fixing è gestito dalla Banca centrale, ma nel 2013 la moneta di Pechino si è apprezzata del 2,9%, funzionando da potente calamita per i capitali speculativi.
La moneta di Pechino, pur essendo non convertibile – il Terzo Plenum ha deciso che lo sarà entro il 2020 – è diventata, negli ultimi mesi, l’ottava moneta più scambiata al mondo. Il commercio globale in yuan ha raggiunto quota 764 miliardi di dollari, + 57% rispetto al 2012.
C’è qualcosa che non funziona e nemmeno Guan Tao può ingnorarlo quando ammette la pressione sul fronte cross border. Per questo la Cina sta meditando misure drastiche, tra cui il prelievo sulle operazioni in valuta estera una tantum, proprio per frenare i flussi speculativi di capitale.
Le cifre diffuse ieri da Safe rivelano che gli afflussi netti di valuta estera da scambi e degli investimenti continueranno ad affrontare una continua pressione anche nel 2014, mettendo a segno continui surplus. La Cina ha accumulato un surplus di 138,8 miliardi dollari sul versante bilancia commerciale e un surplus di 199,2 miliardi dollari in conto capitale nei primi nove mesi dello scorso anno.
Il temuto tapering di Washington potrebbe rappresentare un ulteriore problema.
Il National bureau of statistic ha detto di aver attivato la presenza di un meccanismo capillare per monitorare online l’attività delle aziende, perché «l’apertura dei mercati non vuol dire – ha detto ieri Guan Tao – che non ci saranno controlli».
Ma la vera domanda che la Cina si pone è: ci si può gettare in mare aperto con la garanzia matematica di aver salva la vita?


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