Il doppio patto che non piace al Cavaliere

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ROMA — Ci sono due patti. Il primo, che ha come protagonisti Renzi Berlusconi e Alfano, prevede che l’intesa sulla legge elettorale regga la prova della Camera e superi indenne le forche caudine degli scrutini segreti. Il secondo, che riguarda la maggioranza, stabilisce che — all’indomani del voto sulla riforma del sistema di voto — parta il «blitz» sul governo, per arrivare a un Letta-bis con esponenti democratici vicini al segretario inseriti in ruoli strategici nel nuovo esecutivo. L’obiettivo «a tempo» dovrà essere quello di assecondare il disegno parlamentare di rinnovamento delle istituzioni e di guidare la ripresa sul versante economico, che dovrebbe mostrare i primi dati positivi nel quarto trimestre dell’anno.
L’operazione, assai delicata, è in fase di elaborazione, e ha in Alfano il massimo sponsor. E siccome tutto si dovrà tenere, la fase due — quella relativa a palazzo Chigi — inizierà a prender corpo nei giorni in cui la riforma elettorale transiterà dalla commissione all’Aula di Montecitorio. Sarà allora che si decideranno le sorti del governo, ma il processo si completerà solo dopo che i deputati avranno approvato l’Italicum. Perché così chiede Renzi, a garanzia di qualsivoglia patto di maggioranza, ed è per questo che in pubblico e in privato continua a marcare la distanza da Letta. Il timing però è già stato impostato, l’appuntamento è per metà febbraio: come fossero al check point Charlie, solo a quel punto si arriverà allo «scambio».
Uno scambio politico, dove le poltrone di governo non dovrebbero essere il remake di film del passato, ma servirebbero a sancire un’intesa basata su un percorso programmatico delineato nei dettagli. Per essere solido, l’accordo non potrebbe passare per un semplice rimpasto, che terrebbe l’esecutivo esposto alle intemperie. In quel caso per il Nuovo centrodestra non avrebbe senso proseguire oltre, per evitare di esporsi al rischio di una crisi che — con le riforme incardinate — potrebbe addirittura portare a un gabinetto di scopo. E Forza Italia già punta all’obiettivo.
Le parole pronunciate domenica da Brunetta a Rai3 hanno in parte disvelato il piano azzurro. È vero, il capogruppo è stato prontamente smentito dal suo stesso partito, ma non è un caso che ieri — nelle ore in cui Renzi stava cercando di chiudere l’intesa sulla legge elettorale — si moltiplicavano le voci di autorevoli esponenti forzisti, dubbiosi sull’iter delle riforme istituzionali, quelle cioè che contemplano la riforma del Senato e la modifica del titolo V della Costituzione: «Per ora — spiegavano — non c’è nulla di concreto. Sono solo tre righe scritte su un documento». La frenata era rivelatrice del disegno che il fronte berlusconiano coltiva dal giorno dell’incontro tra il Cavaliere e Renzi: siccome per varare le modifiche alla Carta servirebbe almeno un altro anno, servirebbe anche un altro governo…
Il segretario del Pd è stato chiaro con Alfano: lui vuole intestarsi la fase costituente, e da regista dell’operazione ha imposto sulla legge elettorale dei paletti all’ultima trattativa per evitare la rottura del «triangolo», e garantire da una parte Berlusconi e dall’altra il Pd. In linea di massima il testo va bene al Ncd e non sarebbe certo il nodo delle preferenze a determinare la rottura, nè tantomeno la quota di sbarramento fissata al 5%, di cui il vice premier fa mostra di non curarsi. Anzi. «Verdini continui pure a sollevare l’asticella, se lo desidera», ha commentato il ministro Lupi in segno di sfida verso Forza Italia. Ncd piuttosto è interessato a innalzare al 38% la soglia per ottenere il premio di maggioranza — uno dei punti su cui il Colle è intransigente — che renderebbe determinante il partito di Alfano nella coalizione di centrodestra. Il Nuovo centrodestra insomma asseconda Renzi sulle riforme ma chiede in cambio la blindatura del governo.
Ecco il motivo che ha spinto ieri sera Berlusconi a irrigidirsi nella vertenza, e a contestare «quota 38». L’idea che il segretario del Pd diventi il «padrino» della Terza Repubblica e che al contempo Alfano possa stringere con lui un «patto di maggioranza», confligge con i suoi piani. Che sono altri. Renzi ha avuto modo di capirlo durante il colloquio con il Cavaliere, che ha impiegato buona parte del tempo a raccontare i dettagli della sua odissea personale: dei magistrati, dei processi, delle sentenze, della mancata grazia, del ruolo di Napolitano. Insomma di giustizia. ..
Francesco Verderami


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