Iraq, Falluja in mano alle milizie di Al Qaeda

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GERUSALEMME — Al Qaeda all’attacco sui fronti più caldi del Medio Oriente. Avviene nelle regioni di Falluja e Ramadi, il cuore pulsante dei sunniti iracheni, dove i guerriglieri dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» hanno conquistato ampie fette di territorio e si scontrano adesso frontalmente con l’esercito inviato dal presidente sciita Nuri Al Maliki (un centinaio i morti segnalati solo negli ultimi tre giorni). Si riverbera nelle città e villaggi già prostrati dalla guerra civile siriana. Qui, specie ad Aleppo e nella vicina Idlib, le milizie ribelli locali che combattono contro la dittatura del presidente Bashar Assad vorrebbero ora fare piazza pulita dei qaedisti tra i loro ranghi, specie i circa 8 mila volontari venuti dall’estero. E si ripete in Libano, dove gli estremisti islamici operano ormai apertamente nella sfida a colpi di autobomba e omicidi mirati contro la milizia sciita pro-iraniana dell’Hezbollah (il «Partito di Dio»).
Uno sviluppo che promette nulla di buono per il 2014. Solo poco più di un paio d’anni fa Al Qaeda appariva battuta, isolata nelle aree montagnose tra Pakistan e Afghanistan. L’uccisione di Osama Bin Laden per mano delle truppe speciali americane il 2 maggio 2011 e le proteste di massa generate dalle «primavere arabe» contro le vecchie dittature laiche sembravano averla relegata al passato. Ma da allora i suoi militanti hanno saputo riorganizzarsi nelle pieghe della destabilizzazione. In particolare i militanti iracheni e siriani si sono unificati nel gruppo noto da circa un anno come «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» e operano spesso come un’unica entità territoriale a cavallo tra i due Paesi. Nel Nord-ovest siriano sono ormai la formazione più forte, affiancata dagli estremisti islamici locali inquadrati in «Al Nusra». Ultimamente però le milizie siriane meno propense a sposare l’estremismo religioso si sono unite per cercare di espellere i qaedisti. A fare precipitare la tensione pare sia stato martedì scorso lo scambio di prigionieri tra i due fronti, dove i qaedisti avrebbero consegnato il corpo di Hussein Suliman, un noto medico leader delle milizie più moderate, che mostrava evidenti segni di tortura. Ne sono seguiti scontri con una sessantina di morti. Gli attivisti del Nuovo Esercito Libero, che per primi cercarono di unificare la resistenza anti-Assad, vogliono il rilancio, ma Al Qaeda non ha affatto abbandonato il campo.
E’ però in Iraq che la situazione nell’ultima settimana è più nettamente degenerata. Le milizie qaediste hanno infatti scatenato una massiccia offensiva che le vede ormai controllare la regione sunnita di al Anbar dal confine con la Siria sino a poche decine di chilometri a Ovest di Bagdad. Anche i capi delle tribù locali paiono battuti. La crisi ha radici profonde. Va inquadrata nell’incapacità del governo Maliki di creare un rapporto di convivenza democratica con la minoranza sunnita (circa il 35% degli iracheni). Fu infatti solo tre mesi dopo il ritiro della maggioranza delle truppe americane dal Paese, nell’agosto 2011, che Maliki lanciò la campagna di de-baathificazione contro i personaggi legati al vecchio regime di Saddam Hussein, incluso il mandato di arresto con l’accusa di «terrorismo» del vice-presidente Tariq Al Hashemi, esponente del fronte sunnita favorevole al dialogo nazionale. Da allora la tensione è degenerata. I sunniti di al Anbar rifiutano la presenza delle brigate dell’esercito regolare che portano con loro i vessilli della militanza integralista sciita. Negli ultimi tempi gli scontri sono esplosi quando Maliki ha ordinato la rimozione con la forza di un campo di tende presidiate per protesta presso Ramadi.
Lorenzo Cremonesi


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