Lo scontro tra Camusso e Landini e quel congresso di cinque mesi

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Ma le cose proprio in questi giorni stanno cambiando con una rapidità incredibile per cui è probabile che si debba riscrivere il finale. La conclusione del direttivo di ieri con la clamorosa spaccatura tra i due principali protagonisti autorizza quantomeno a pensarlo. La preoccupazione unitaria del vertice Cgil non nasceva tanto da un pregiudizio bulgaro orientato all’unanimismo quanto dalla scelta di non creare nelle assemblee una contrapposizione tra apparati, laddove l’attenzione delle tute blu è tutta giustamente rivolta alle ristrutturazioni aziendali e ai licenziamenti. Per di più, come ha sbandierato ieri Raffaele Bonanni, negli stabilimenti Fiat la Fiom-Cgil ha perso lo storico primato di sindacato con il maggior numero di iscritti e delegati, che sarebbe invece passato alla Fim-Cisl. Insomma mentre Landini guadagna spazio «nei salotti televisivi» (parole di Bonanni), perderebbe invece terreno in fabbrica.
A cambiare le carte e a dividere di nuovo Camusso e Landini è il diverso giudizio sui regolamenti attuativi dell’intesa Confindustria-sindacati sulla certificazione della rappresentanza. La Fiom vuole comunque tenersi le mani libere in sintonia con il posizionamento da free rider scelto dal suo segretario, che da una parte dialoga con Matteo Renzi cavalcando la critica all’attuale conduzione confederale dall’altra non firma accordi come quello della Fincantieri di Marghera, che prevedono l’adozione di un orario 6×6 (sei ore dal lunedì al sabato) pur di conquistare un’importante commessa di lavoro. Secondo un attento osservatore come Giuseppe Berta si intuisce che Landini vorrebbe conquistare maggiori spazi in Cgil, magari approfittando del tramonto dell’asse Camusso-Bersani, ma è evidente che fin quando la sua organizzazione adotterà una linea oltranzista non potrà mai diventare il baricentro della confederazione. E battersi per la leadership.
Al di là delle posizioni dei contendenti è evidente però che quanto sta avvenendo in casa Cgil stride con lo spirito dei tempi. Le modalità del confronto politico stanno cambiando velocemente e il sindacato fatica a farsene una ragione. Rimane impigliato nelle maglie di un’architettura organizzativa complessa, di procedure estenuanti quando la gravità della crisi sociale richiederebbe il contrario. Intanto emerge sempre di più come nel merito delle crisi industriali non esistano parole d’ordine salvifiche, serve invece il minuzioso approfondimento dei singoli casi e l’individuazione delle possibili soluzioni. La fase di profonda e dolorosa ristrutturazione che sta attraversando l’industria italiana non si può governare da Roma e non è un caso che proprio oggi siano attese importanti novità da Pordenone, dove le forze imprenditoriali locali si stanno muovendo proprio per trovare una soluzione ad hoc all’annunciato disimpegno dall’Italia della multinazionale svedese Electrolux. E’ questo il lavoro che va portato avanti nelle situazioni di sofferenza. Dove invece si continua a sviluppare una ricca e innovativa contrattazione aziendale, non solo difensiva, quasi mai gli input dell’innovazione provengono dalle centrali sindacali bensì maturano nel confronto in loco tra imprenditori e rappresentanze aziendali. È questo probabilmente il futuro delle relazioni industriali in Italia, il tentativo di delineare uno scambio quasi “sartoriale” tra le parti finalizzato ad accrescere la competitività e ad allargare lo spettro delle chance concesse ai lavoratori. Se il congresso della Cgil servisse davvero a discutere di questa discontinuità gli si potrebbe persino perdonare l’anacronistica lunghezza.


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