Via il segreto di Stato, è la wikileaks italiana

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È la fine del ven­ten­nio, que­sto 22 aprile 2014. Ed è la fine di quella parte della sto­ria repub­bli­cana che abbiamo visto nascon­dersi die­tro le stragi, gli omi­cidi poli­tici, i depi­staggi, i dos­sier ai veleni. Anzi, a voler guar­dar bene, è forse la fine ormai defi­ni­tiva della guerra fredda, di quella par­ti­co­lare regola che voleva l’Italia cro­ce­via dei com­plotti, dei segreti incon­fes­sa­bili, delle orga­niz­za­zioni paral­lele, come Gla­dio o i Nuclei di difesa dello Stato. Que­sto è quello che potrebbe rap­pre­sen­tare l’annuncio del governo Renzi sulla pub­bli­ca­zione degli atti riser­vati e segreti «di tutte le ammi­ni­stra­zioni dello stato» sulle stragi com­piute dal 1969 al 2000. Una svolta che — se sarà man­te­nuta — non potrà che essere epo­cale: i docu­menti clas­si­fi­cati con i tre livelli di segre­tezza — riser­vato, riser­va­tis­simo, segreto e segre­tis­simo — rela­tivi ai nodi mai sciolti della sto­ria repub­bli­cana (dalle bombe di Milano e Bre­scia, fino all’omicidio Alpi-Hrovatin, pas­sando per le bombe del 1992 e 1993, con in mezzo il rapi­mento e omi­ci­dio di Aldo Moro), pro­dotti dalla pub­blica ammi­ni­stra­zione saranno resi pub­blici e river­sati nell’archivio di Stato. Que­sto è — nella sua essen­zia­lità quasi buro­cra­tica — l’annuncio che il sot­to­se­gre­ta­rio Marco Min­niti, che ha con­fer­mato ieri pome­rig­gio la firma da parte del pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi della diret­tiva sulla dese­cre­ta­zione. Non solo, dun­que, le navi dei veleni e l’agguato con­tro Ila­ria Alpi e Miran Hro­va­tin, come chie­sto da Green­peace — con l’appoggio del mani­fe­sto — e da Arti­colo 21 al pre­si­dente della Camera Laura Bol­drini.
È fuori da ogni dub­bio che l’evento rap­pre­senta la più grande ope­ra­zione di disco­very dal dopo guerra e pro­ba­bil­mente la prima di que­sto genere in Europa. Nean­che dopo l’annuncio dell’esistenza dell’organizzazione Gla­dio da parte di Giu­lio Andreotti — era il 1990 — vi fu la pub­bli­ca­zione degli atti dell’organizzazione, salvo l’elenco — molto pro­ba­bil­mente par­ziale — dei sei­cento civili arruo­lati. Quelle carte — ad esem­pio — con­ti­nuano a rima­nere in gran parte coperte dal segreto, chiuse negli archivi di Forte Bra­schi, tute­late dalle boc­che cucite dei mili­tari che con­dus­sero l’operazione stay-behind per alcuni decenni, tenendo all’oscuro lo stesso Par­la­mento. La dese­cre­ta­zione — secondo quanto annun­ciato da Renzi e Min­niti — potrebbe rac­con­tare per la prima volta le coper­ture isti­tu­zio­nali, le regole d’ingaggio mai rive­late della nostra intel­li­gence. L’apertura degli archivi e dei tanti “armadi della ver­go­gna” riguar­derà le stragi degli anni ’70 (Piazza Fon­tana, Gioia Tauro, Peteano, Que­stura di Milano, Bre­scia, Ita­li­cus), degli anni ’80 (Ustica, sta­zione di Bolo­gna e Rapido 904) e il duplice omi­ci­dio Alpi-Hrovatin. Ma nella diret­tiva fir­mata dal pre­si­dente del con­si­glio si fa rife­ri­mento alle «gra­vis­sime vicende avve­nute da un tren­ten­nio». Dun­que, par­tendo da piazza Fon­tana — avve­nuta nel 1969 — si arriva al 1999, inclu­dendo anche le stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Milano e Firenze, in quella sta­gione colom­biana di Cosa nostra che vide molto pro­ba­bil­mente il comune inte­resse di apparti dello stato. Occor­rerà, in ogni caso, atten­dere la pub­bli­ca­zione sulla Gaz­zetta uffi­ciale della diret­tiva e l’avvio della appo­sita com­mis­sione che dovrà essere isti­tuita per gestire l’operazione di disco­very.
L’esistenza di una mole — defi­nita «signi­fi­ca­tiva» — di docu­menti sulle stragi e sugli omi­cidi eccel­lenti è già di per se una noti­zia e c’è da aspet­tarsi già nei pros­simi giorni l’uscita di qual­che docu­mento par­ti­co­lar­mente rile­vante. In fondo que­sta mossa di Renzi poten­zial­mente può essere più dirom­pente rispetto al decreto degli 80 euro, soprat­tutto in vista delle ele­zioni euro­pee.
Il ner­vo­si­smo di chi ha sem­pre soste­nuto l’assenza di coper­ture da parte degli appa­rati dello stato è il sin­tomo della rile­vanza dei docu­menti che potreb­bero essere pub­bli­cati. Il sena­tore Ncd Carlo Gio­va­nardi — che in que­sti anni si è bat­tuto senza tre­gua con­tro i «com­plot­ti­sti» — ha messo le mani avanti dopo l’annuncio del governo: «Come ben sanno tutte le per­sone in buona fede, in Ita­lia e all’Estero, l’esplosione del DC9 dell’Itavia ad Ustica — ha com­men­tato — venne pro­vo­cato da una bomba col­lo­cata nella toi­lette di bordo, così come cer­ti­fi­cato da tutta la let­te­ra­tura scien­ti­fica esi­stente». Mau­ri­zio Cic­chitto ha invece cer­cato di por­tare l’acqua dalla parte del cen­tro­de­stra, ricor­dando i lavori della com­mis­sione Mitro­khin: «Se que­sta ope­ra­zione va fatta, essa deve essere fatta in modo com­pleto e allora non si capi­sce per­ché per­manga il segreto messo fon­da­men­tal­mente dal Senato sui lavori della com­mis­sione Mitro­khin e sui mate­riali da essa rac­colti». Quello che è certi è che da oggi si apre uffi­cial­mente la cac­cia ai segreti della Repub­blica, senza esclu­sione di colpi. La wiki­leaks all’italiana è in fondo solo all’inizio.



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