L’America antirazzista in marcia

L’America antirazzista in marcia

Loading

 NEW YORK Non si placa la rabbia dell’America progressista e delle minoranze etniche per le brutalità della polizia e la mancata incriminazione degli agenti che hanno ucciso neri disarmati: le manifestazioni continuano a susseguirsi, ogni giorno e ogni notte, in tutto il Paese, da Boston alla California. Ma nell’era dei «social network» la protesta è diffusa, polverizzata: priva di un centro di gravità e di una personalità carismatica capace di incarnare la volontà di cambiamento. 
Ieri, nella prima vera giornata nazionale di protesta, le manifestazioni sono state centinaia: nei luoghi più disparati e nei modi più disparati. In molti parchi nazionali i «rangers» si sono trovati davanti escursionisti trasformati in dimostranti. Anche sulle colline dietro Oakland, in California, in centinaia si sono inerpicati per i pendii gridando «anche le vite dei neri contano» e scandendo la parole, «I can’t breathe», non posso respirare: quelle pronunciate più volte da Eric Garner prima di morire soffocato dalla presa di un poliziotto.
Stessi slogan e stessi cartelli nelle ben più vaste manifestazioni delle grandi metropoli, ma quella nazionale di Washington, promossa dal National Action Network, l’associazione per i diritti civili del reverendo Al Sharpton, ha raccolto meno adesioni di quella di New York, nonostante nella capitale fossero arrivate anche le famiglie di tutte le ultime vittime innocenti della polizia: le madri di Michael Brown, il diciottenne ucciso a Ferguson, di Eric Garner, l’uomo soffocato a Staten Island, e di Trayvon Martin, il ragazzino ucciso un paio d’anni fa in Florida da un uomo che si era autoproclamato sorvegliante del quartiere. Ha scambiato il giovane per un malvivente e l’ha ucciso: assolto anche lui. A guidare la manifestazione di Washington anche le famiglie di Akau Gurley e Tamir Rice, il dodicenne di Cleveland ammazzato dalla polizia in un parco mentre brandiva una pistola-giocattolo. Ma il controverso Al Sharpton non è Martin Luther King. Le manifestazioni oceaniche nel Mall, i discorsi ispirati come il celeberrimo «I have a dream», sono solo un lontano ricordo legato alle grandi battaglie degli anni Sessanta per i diritti civili. A sfilare a Washington da Freedom Plaza, la spianata a fianco della Casa Bianca, al Campidoglio, sono stati solo in diecimila. Ce n’erano molti di più – 50 mila secondo le prime stime – alla marcia di New York, che ha attraversato Manhattan da Washington Square alla sede centrale della polizia, passando per la zona della Public Library a «midtown». Senza incidenti, almeno fino al momento in cui scriviamo.
La tensione resta, però, elevata non solo tra manifestanti e polizia ma anche tra agenti e potere politico. Le forze dell’ordine si sentono «scaricate» da sindaci e parlamentari. Il risentimento diventa addirittura arroganza quando la Patrolmen Benevolent Association, una sorta di sindacato di polizia, escogita una forma estrema di protesta contro Bill de Blasio: scrive a tutti gli agenti invitandoli a notificare ai loro superiori che, se cadranno in servizio, non vogliono che al loro funerale sia presente il sindaco di New York (cioè il loro capo e datore di lavoro), accusato di aver mancato loro di rispetto.
Massimo Gaggi


Related Articles

Una giornata senza di noi (gli immigrati)

Loading

  Con uguali diritti

Immaginate: improvvisamente i media italiani diffondono la notizia di una nuova strategia per l’immigrazione, che muta in modo sostanziale la legge “Bossi-Fini” in vigore e concede la cittadinanza a tutti gli immigrati presenti nel Paese. E ancora: le forze dell’ordine lanciano una maxi operazione per arrestare i cosiddetti “luogotenenti”, che assoldano per pochi euro al giorno gli immigrati per la raccolta dei pomodori e simili mansioni, e con essi chiunque abbia sfruttato e sottopagato i lavoratori stranieri, spesso a sprezzo della loro sicurezza.

Verde, ma senza l’erba sotto i piedi

Loading

Missione impossibile per Eva Joly, 69 anni, ex giudice anti-corruzione, nata in Norvegia, che porta la bandiera di Europa Ecologia-I Verdi dopo aver sconfitto l’uomo di televisione Nicolas Hulot: le presidenziali sono l’elezione più difficile per gli écolos, che difendono valori pressoché incompatibili con la personalizzazione della battaglia per l’Eliseo.

Iowa, via alla corsa dei repubblicani spunta il “terzo incomodo” Santorum

Loading

Il candidato degli ultrà  religiosi pari con i favoriti Romney e Paul. Ma l’ex governatore del Massachusetts crede ancora di poter chiudere la partita in anticipo

 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment