Il Sudafrica libera De Kock, il Malvagio dell’apartheid

Il Sudafrica libera De Kock, il Malvagio dell’apartheid

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Hanno liberato l’angelo dalla faccia più sporca: figlio di un magistrato, occhiali spessi da professore e una leggera balbuzie per cui era stato scartato dall’esercito e dalle forze speciali, Eugene De Kock ha guidato per sette anni dal 1985 al 1993 la famigerata unità segreta C-1, lo squadrone della morte della polizia che aveva il compito di uccidere i militanti dell’African National Congress e rispondeva ai piani più alti del governo dell’apartheid. Ieri il ministro della Giustizia sudafricano ha annunciato il suo rilascio, dopo vent’anni di prigione, nel nome della «riconciliazione nazionale».
De Kock era stato arrestato nel 1994. Con il golfino blu e la camicia jeans ha confessato un centinaio di omicidi e crimini contro l’umanità davanti alla Commissione Verità e Riconciliazione (Trc), la «non-Norimberga» sudafricana presieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu. Quelle cinquemila pagine di mea culpa non gli hanno risparmiato la condanna a due ergastoli e a 212 anni di prigione per alcuni crimini «non motivati» da ragioni politiche e da diretti ordini superiori. Il colonnello soprannominato «Prime Evil», uno dei tre bianchi fino a oggi in prigione per i crimini dell’apartheid, tornerà libero nei prossimi giorni all’età di 66 anni. Il «Cattivo numero 1» ha chiesto perdono ai familiari delle sue vittime e puntato il dito contro l’ipocrisia dei suoi boss. Dalla cella in una intervista radiofonica del 2007 ha accusato l’ex presidente bianco FW de Klerk, che ha condiviso il Nobel per la Pace con Nelson Mandela nel 2003, di avere «le mani zuppe di sangue». Certo quello che avveniva nella «fattoria delle torture» chiamata Vlakplaas, a una ventina di chilometri dalla capitale Pretoria, doveva avere l’approvazione di tutti i superiori. Dopo ogni operazione (eliminazione) riuscita, non lontano dall’albero delle impiccagioni si festeggiava con un braai , il tradizionale barbecue sudafricano al quale partecipavano anche i generali. A De Kock doveva piacere il suo lavoro. Non è facile considerarlo solo un anello di un ingranaggio più grande: l’hanno accusato di aver ucciso a badilate Japie Maponya, il fratello di un ricercato che non voleva «parlare». Lo uccise con la lama del badile, perché la pistola si era inceppata. Il colonnello si è difeso dicendo che l’esecuzione era stata ordinata da un generale, e che comunque la vittima era già morta: il colpo di vanga era di prassi per assicurarsi dell’avvenuto decesso.
La figlia di una vittima, Candace Mama, ha raccontato alla Bbc di avergli chiesto in carcere se si era auto-assolto. «Chi ha fatto quello che ho fatto io — è stata la risposta — non può darsi il perdono». Sandra, la vedova dell’attivista dell’Anc Glenack Mama ucciso nel 1992, crede al pentimento: «Eugene è il prodotto dello Stato. Si è preso le colpe del governo».
Ora è il governo degli ex nemici a perdonarlo. Prime Evil continuerà a collaborare con chi ancora indaga sui crimini dell’apartheid. Secondo la stampa sudafricana il patto fu sancito in un incontro del 2010, quando Jacob Zuma da poco presidente vide De Kock per farsi raccontare i «mandanti eccellenti» di quanto avveniva alla «fattoria».
«Play the enemy», coinvolgi il tuo nemico, era un motto di  Nelson Mandela. Ci sono nemici e nemici: Clive Derby-Lewis, l’uomo che organizzò l’omicidio del leader anti-apartheid Chris Hani, resta in carcere. La sua richiesta di libertà (è malato terminale) è stata rifiutata. Il ragazzo con gli occhiali spessi diventato comandante del più brutale squadrone dell’apartheid torna a casa. Un braai da uomo libero dopo vent’anni, per l’uomo che teneva «allenati» i suoi uomini anche nella stagione fredda: le battute di caccia al guerrigliero in Namibia le aveva battezzate Winter Games , i Giochi Invernali.


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