Sco­rie nucleari, ecco la lista dei siti

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Lon­tano dall’acqua, da infra­strut­ture stra­te­gi­che, da zone sismi­che, da col­ti­va­zioni bio­lo­gi­che e pro­tette, da impianti ener­ge­tici, da aree sog­gette a frane. È un’Italia con una pelle a mac­chia di leo­pardo quella che emerge dalla mappa che ieri la Sogin ha con­se­gnato a Ispra. Si chiama Cnapi ed è la Carta delle aree poten­zial­mente ido­nee a ospi­tare il depo­sito nazio­nale delle sco­rie nucleari e annesso parco tec­no­lo­gico. È una mappa che pro­cede per esclu­sione, e che a conti fatti, indica un cen­ti­naio di luo­ghi dove poter rica­vare il chi­lo­me­tro qua­drato di spa­zio libero dove costruire quest’opera che dovrà met­tere in sicu­rezza 90 mila metri cubi di mate­riali radioat­tivi. Una quan­tità desti­nata a crescere.

Dove sor­gerà il depo­sito? È pre­sto per dirlo ora, ma con­si­de­rando i cri­teri di esclu­sione indi­cati da Ispra il 4 giu­gno e che in que­sti mesi Sogin ha veri­fi­cato, si pos­sono indi­care delle aree più ido­nee delle altre. Dalla car­tina sono state tolte lagune, zone pro­tette, miniere, dighe, mili­tari, le aree sismi­che, sog­gette a frane, sopra i 700 metri di quota, sotto i 20 metri, a meno di 5 chi­lo­me­tri dal mare, a meno di un chi­lo­me­tro da fer­ro­vie o strade di grande impor­tanza, vicino alle aree urbane, accanto ai fiumi.

Non le zone costiere, quindi, nean­che quelle dove ci sono tri­vel­la­zioni o impianti indu­striali. Le aree non coin­ci­dono neces­sa­ria­mente con i con­fini delle pro­vince o dei comuni. Puglia, Lazio, Toscana, Veneto, Basi­li­cata, Mar­che, tra le più pro­ba­bili. Ma la mappa for­nita da Sogin a Ispra deve sot­to­stare a una nuova veri­fica. Non è detto quindi che nei pros­simi tre mesi non venga stravolta.

«Nes­suna regione è esclusa», ha detto in par­la­mento il sot­to­se­gre­ta­rio all’Ambiente Sil­via Velo, facendo infu­riare i sardi che subito hanno pro­te­stato al grido di «Non vogliamo essere la pat­tu­miera nucleare d’Italia». E le rivolte sono pro­prio quelle che la ratio del decreto che ha codi­fi­cato il pro­ce­di­mento vuole evi­tare, pre­ve­dendo lun­ghi periodi in cui pos­sano essere con­sul­tati enti locali e cittadini.

Il timing è defi­nito: da ieri l’Ispra ha due mesi di tempo per veri­fi­care l’applicazione dei cri­teri da parte di Sogin e vali­dare la Cnapi. Poi entro un mese, quindi ad aprile, il mini­stero dello Svi­luppo eco­no­mico e dell’Ambiente daranno il bene­stare alla pubblicazione.

Da quel momento scat­terà una con­sul­ta­zione pub­blica con un semi­na­rio, pas­se­ranno altri due mesi, e per i suc­ces­sivi 3 si rac­co­glie­ranno osser­va­zioni. Sogin spera in un’autocandidatura. Un’opzione non pere­grina dato che il depo­sito por­terà 1500 occu­pati l’anno per i 4 anni neces­sari — sulla carta — per la sua rea­liz­za­zione e 700 posti di lavoro a regime durante la sua gestione. A que­sto punto — siamo in autunno — dalla Carta nazio­nale dei siti ido­nei emer­gerà il nome dei siti candidati.

Poi per altri 15 mesi ci saranno inda­gini tec­ni­che. Nel com­plesso, un’operazione che si distan­zia anni luce dal dram­ma­tico inverno del 2004 quando in un con­si­glio dei mini­stri not­turno fu pre­scelto Scan­zano Jonico sca­te­nando i lucani che bloc­ca­rono traf­fico e il pro­getto.
L’investimento pre­vi­sto dalla Sogin è di un miliardo e mezzo di euro. Sull’utilità del depo­sito non ci sono dubbi. Piut­to­sto, biso­gnerà tenere alta l’attenzione sul pro­ce­di­mento rea­liz­za­tivo: nell’inchiesta Expo di mag­gio la pro­cura di Milano ha evi­den­ziato un giro di soldi intorno ai subap­palti per la disca­rica radioat­tiva a Salug­gia. Un’operazione su cui la stessa Sogin ha preso le distanze, e i nuovi ver­tici a otto­bre 2013 ave­vano avviato un’indagine interna che ha por­tato a un espo­sto in pro­cura e sette let­tere di con­te­sta­zione per altret­tanti fun­zio­nari.
Tema deli­cato, que­sto del nucleare, che ha avuto una fiam­mata a fine anno quando il governo ha voluto nomi­nare Anto­nio Ago­stini pre­si­dente dell’Isin, l’ispettorato per la sicu­rezza nucleare. Ma senza alcuna com­pe­tenza spe­ci­fica. Non solo: Ago­stini è inda­gato dalla pro­cura di Roma per abuso d’ufficio e tur­ba­tiva d’asta per la gestione di fondi del Miur.

Il mini­stro dell’Ambiente Gal­letti aveva detto di voler «rive­dere la nomina». E un appello era arri­vato dal pid­dino Rea­lacci, pre­si­dente della com­mis­sione Ambiente della Camera. Ma finito il cla­more della cro­naca, il fatto è caduto nel dimenticatoio.

Ma cosa dovrebbe con­te­nere que­sto depo­sito nazio­nale? Circa 75 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media atti­vità: il 60% dalle vec­chie cen­trali, il 40% dalle atti­vità di medi­cina nucleare, indu­striali e di ricerca. Una quan­tità desti­nata a cre­scere. Inol­tre 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta atti­vità, tra cui il com­bu­sti­bile irrag­giato e i resi­dui deri­vanti dal ripro­ces­sa­mento in corso all’estero (Fran­cia e Inghil­terra), che tor­ne­ranno in Italia.

Que­sti rifiuti saranno stoc­cati «tem­po­ra­nea­mente» in attesa di un depo­sito geo­lo­gico, cioè sotto terra, che però non è detto che debba essere locato in Ita­lia. Anzi, è molto pro­ba­bile che ver­ranno accor­pate zone d’Europa che hanno avuto uno scarso eser­ci­zio nucleare. Di fatto l’Europa non ha ancora tro­vato una solu­zione.
Attual­mente in Ita­lia ci sono più di 20 pic­coli depo­siti prov­vi­sori. Alcuni sono costruiti con i moderni stan­dard, altri deci­sa­mente no. Come quelli nei sot­ter­ra­nei degli ospe­dali o in alcuni capan­noni. Una delle situa­zioni più rischiose si trova a Taranto, vicino all’Ilva: nel depo­sito Ceme­rad in disuso da anni sono stoc­cati tre­mila bidoni pieni di sco­rie radioat­tive. In altri casi, come a Salug­gia, si è dovuto costruire bar­riere anti– allu­vione per il Po che lam­bi­sce la zona.

Quale sarà il destino di que­sti siti? Sman­tel­lati, con­flui­ranno anch’essi, per la parte radioat­tiva, nel depo­sito nazio­nale. Tra almeno 4 anni, ral­len­ta­menti permettendo.


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