L’ultima crociata di Anonymous

L’ultima crociata di Anonymous

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WASHINGTON. NELLA guerra senza volto che gli assassini mascherati dell’Is hanno lanciato al mondo, ora è sceso in campo contro di loro un nemico ancora più invisibile: è Anonymous, l’esercito di hacker senza uniformi, senza capi, senza regole e ovviamente senza volto che si è mosso spontaneamente per tagliare i tentacoli dello Stato islamico e bloccare quegli strumenti di propaganda e reclutamento che i tagliatori di teste hanno disseminato nella Rete del web.
Che gli obbiettivi di Anonymous coincidano questa volta con quelli dell’odiato governo americano, oggetto di quotidiani attacchi informatici e di denunce da parte degli attivisti nascosti dietro la maschera del ribelle inglese Guy Fawkes, non può stupire chi ricordi il famoso avvertimento shakespeariano nella “Tempesta”, secondo il quale le circostanze producono «strani compagni di letto». O l’inquieta alleanza fra le democrazie occidentali e Stalin per sconfiggere Hitler e il nazifascismo. È la legge del “male minore”, o della lotta al male maggiore quella che ha spinto i cyberfustigatori dei vizi e delle vergogne del capitalismo finanziario ad attaccare la rete del cosiddetto Stato Islamico e delle nazioni che essi sospettano essere i loro finanziatori occulti, come l’Arabia Saudita, la Turchia, il Qatar, il Kuwait, che pagano per essere risparmiati.
Un’alleanza di convenienza, una strana amicizia, dunque, sotto sigle sincopate in perfetto stile da Social network, NO2ISIS, no all’Islamic State of Syria and al Sham (la Grande Siria) od «OpIceISIS » (Operazione congeliamo Isis) che già da giorni sta bloccando centinaia di account riconducibili al Califfato dei terroristi, su Twitter, Facebook, e contro siti web che diffondono le immagini deliberatamente raccapriccianti e i messaggi ai seguaci come alle potenziali reclute. «Noi non siamo in grado di bombardare le loro postazioni e i loro accampamenti » ha detto un hacktivist, un attivista hacker a France 2-4 «ma possiamo attaccare e distruggere la loro presenza in Rete».
E poiché Anonymous è tutti e nessuno, è il nostro vicino di casa curvo sul suo pc come un attivista magari soltanto in vena di “lulz”, di scherzi informatici e risate in Giappone o in Australia, questo è un avversario molto più insidioso dei droni e o delle bombe giordane per gli ideologi dell’Is che stanno facendo ampio uso delle tecnologie per la loro propaganda. Nella impossibilità di creare un network umano di reclutatori, di spie, di militanti che renderebbe, se crescesse, proporzionalmente più vulnerabile l’organizzazione come sempre accade nella dinamica del terrorismo, gli abili smanettoni della jihad informatica si sono affidati alla Rete, usandola contro chi l’ha creata.
La mobilitazione di Anonymous ora può rivoltare la strategia della guerra virtuale, corollario della guerriglia e delle esecuzioni sul campo, contro chi l’ha sfruttata. E nessuno si è rivelato più abile degli hacker mascherati nel muoversi tra le crepe e le debolezze di Internet. Siti e account crackati da loro, o oscurati con la tecnica del DDoS, il blocco dell’accesso e del servizio, sono centinaia. Vanno dall’attacco di massa ai siti di Scientology, la setta fanatica e pseudomistica rinchiusa dietro muraglie di segretezza, all’Ufficio Brevetti del governo Usa, come ai siti di case di produzione cinematografica e discografica. Il filo rosso che ha sempre legato la maggior parte delle azioni di Anonymous è la difesa delle libertà della Rete, contro i protezionismi commerciali o l’oscurità della politica e della finanza. Quando nacque Occupy Wall Street, le maschere, e le azioni di Anonymous si schierarono immediatamente con loro.
Poiché nessuno, neppure la più ingorda delle banche o il più tenebroso dei governi, minaccia ogni principio di libertà e di dignità civile come i fanatici del nuovo Califfato, la controffensiva per bloccare l’infezione della loro propaganda era inevitabile. E se questa strana amicizia fra carissimi ne- mici, come quel governo americano che ha perseguito e chiuso in carcere per dieci anni nel 2013 uno degli «Anonimi» più celebri, Jeremy Hammond, definito ufficialmente «terrorista» è paradossale, la legge del «nemico dei miei nemici è mio amico» scatta sempre.
Non tutti, fuori dalla nebulosa dell’hackattivismo plaudono a questa operazione “Congelate Is” che sta spegnendo uno dopo loro acconti in rete riconducibili ai terroristi o sospettati di essere emanazione di governi complici. Le necessità di muoversi attraverso i Social network, i siti, i blog, le clip su YouTube, diffondeva il virus ed eccitava le reazione sia dei tifosi del massacro come dei governi spinti a cadere nella trappola della vendetta, certamente. Ma offriva all’intelligence antiterrorismo anche indizi e piste per risalire agli autori come le briciole delle fiabe. O per intuire i piani e le azioni progettate.
Nella mancanza quasi totale di “humint”, di intelligence umana fornita da infiltrati nell’Is, in Al Qaeda come nei gruppi che orbitano attorno a loro, il controspionaggio deve affidarsi alla “elint”, all’elettronica, ai satelliti, alle intercettazioni e alla decrittazione dei messaggi trasmessi via Social network, quelli che Anonymous sta spegnendo. Ma la risposta dei nuovi crociati mascherati è forse più da guerra psicologica che da controffensiva materiale.
«Devono sapere, questi che sfidano ogni intelligenza, ogni morale, ogni logica, che noi controbatteremo uno per uno tutti i loro argomenti insensati e faremo assaggiare a loro la stessa minestra virtuale che stanno servendo» spiega uno degli hacktivisti al sito dot.com: «Li vogliamo inchiodare alle loro assurdità». «Noi siamo una legione sparsa ovunque nel mondo e le nostre milizie ora sono scese in battaglia contro l’Is» aggiunge con una robusta dose di enfasi.
Ma come tutte le battaglie, anche questa, incruenta, che è cominciata nella nebulosa parallela a quella grandguignolesca in atto nella polvere dei deserti siriani e irakeni, non è a senso unico. La squadra di propagandisti che oggi lavora per il Califfato dei disumani sgozza teste è probabilmente figlia diretta di quella Syrian Electronic Army che in passato colpì siti e acconti in America e in Europa, provocando danniimmensi. Un falso tweet attribuito alla Associated Press , ma forse generato proprio da un account dell’Armata Elettronica dei fanatici siriani, sparò nell’aprile del 2013 la notizia di una esplosione alla Casa Bianca. Costò 90 miliardi di dollari in perdite a Wall Street, in due minuti. La rete, il “grid”, che controlla la distribuzione dell’elettricità, così come la rete di controlli sull’aviazione civile sono tutti vulnerabili ad attacchi, nonostante i giuramenti di massima sicurezza. Ogni azione, ogni rappresaglia, materiale o virtuale, in rete o in terra, ha conseguenze. Questa guerra invisibile e parallela, cominciata fra soldati in maschera, è soltanto all’inizio.


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