La Corte suprema Usa: sì ai matrimoni gay

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Le cop­pie dello stesso sesso «chie­dono pari dignità agli occhi della legge. La Costi­tu­zione garan­ti­sce loro que­sto diritto»: sono le parole con­clu­sive di una delle sen­tenze più attese degli ultimi anni negli Stati uniti e non solo, con la quale ieri la Corte suprema Usa ha san­cito il diritto al matri­mo­nio per le cop­pie gay e lesbi­che in ogni area del Paese. Con la deci­sione nel caso Ober­ge­fell v. Hod­ges la discri­mi­na­zione matri­mo­niale cade negli ultimi 14 Stati dell’Unione: d’ora in avanti le cop­pie dello stesso sesso potranno spo­sarsi in tutti gli Stati con gli stessi diritti delle cop­pie di sesso diverso.

La sen­tenza, adot­tata con una mag­gio­ranza di 5 voti a 4, riflette le tra­di­zio­nali frat­ture ideo­lo­gi­che della Corte: a favore i 4 giu­dici più pro­gres­si­sti e il cen­tri­sta Anthony Ken­nedy, che ha fir­mato la sen­tenza. Con la pro­nun­cia di ieri, Ken­nedy entra a pieno titolo nella sto­ria del pro­gresso dei diritti lgbt negli Usa: dal 1996 è stato l’estensore di tutte le deci­sioni sui diritti delle per­sone omo­ses­suali. Con­tro il matri­mo­nio egua­li­ta­rio i 4 giu­dici più con­ser­va­tori, com­preso il pre­si­dente John Roberts.

Quello al matri­mo­nio, spiega la Corte suprema, costi­tui­sce uno dei diritti fon­da­men­tali dell’individuo, ine­rente alla sfera della dignità e della auto­no­mia indi­vi­duali, e per­tanto è pro­tetto dal Quat­tor­di­ce­simo emen­da­mento della Costi­tu­zione, che assi­cura ai cit­ta­dini la «eguale pro­te­zione delle leggi» da parte degli Stati fede­rati. Negando la pos­si­bi­lità del matri­mo­nio alle cop­pie dello stesso sesso si impone ai loro bam­bini «lo stigma di sapere che le pro­prie fami­glie sono in qual­che modo infe­riori». La discri­mi­na­zione matri­mo­niale nei con­fronti delle per­sone omo­ses­suali, inol­tre, priva le unioni same-sex dei bene­fici che gli Stati rico­no­scono ai coniugi, con­dan­nan­dole «ad una insta­bi­lità che molte cop­pie di sesso diverso riter­reb­bero intol­le­ra­bile nella pro­pria vita», e soprat­tutto dello sta­tus con­fe­rito al matri­mo­nio dall’ordine sociale, «con il risul­tato di mostrare che gay e lesbi­che non sono uguali da molti punti di vista».

La Corte ha adot­tato un’interpretazione evo­lu­tiva delle dispo­si­zioni costi­tu­zio­nali: le carte fon­da­men­tali sono stru­menti che si ade­guano al mutare delle cir­co­stanze sociali. «La natura dell’ingiustizia è tale che non siamo sem­pre capaci di rico­no­scerla nel nostro tempo», affer­mano i giu­dici, ma «le gene­ra­zioni che hanno scritto e rati­fi­cato la Carta dei diritti e il Quat­tor­di­ce­simo emen­da­mento non pre­sup­po­ne­vano di cono­scere i con­fini esatti della libertà in ogni sua dimen­sione, e così hanno lasciato in custo­dia alle gene­ra­zioni future una Carta fon­da­men­tale che pro­tegge il diritto di ogni per­sona di godere della libertà man mano che se ne apprende il signi­fi­cato». Per la stessa ragione, «i diritti non pos­sono essere defi­niti da coloro che li hanno eser­ci­tati in pas­sato», altri­menti «nuovi gruppi non potreb­bero invo­care nuovi diritti prima negati». E le per­sone «non hanno biso­gno di atten­dere l’azione legi­sla­tiva prima che venga affer­mato un diritto fon­da­men­tale» in quanto «le Corti nella Nazione sono aperte agli indi­vi­dui lesi nei loro diritti».

Alla deci­sione di ieri si è arri­vati per­ché la Corte d’appello del Sesto cir­cuito – con giu­ri­sdi­zione su Michi­gan, Ohio, Ten­nes­see e Ken­tucky – aveva, unica tra i tri­bu­nali d’appello fede­rali, con­fer­mato il diritto degli Stati più con­ser­va­tori di non rico­no­scere il matri­mo­nio same-sex. La sen­tenza era stata impu­gnata da cop­pie gay e lesbi­che presso la Corte suprema, che ha tra i suoi com­piti quello di garan­tire un’applicazione uni­forme della Costi­tu­zione in tutto il Paese.

Grande sod­di­sfa­zione è stata espressa dal Pre­si­dente Obama: «è una deci­sione che san­ci­sce ciò che milioni di ame­ri­cani sen­tono nei loro cuori». «Quando tutti gli ame­ri­cani sono trat­tati da eguali – ha aggiunto – siamo tutti più liberi». Rea­zioni simili da parte dei can­di­dati demo­cra­tici alle pri­ma­rie, a comin­ciare da Hil­lary Clin­ton, men­tre i can­di­dati repub­bli­cani hanno con­dan­nato, pur con accenti diversi, la sen­tenza: per loro si tratta di un’indebita intro­mis­sione nei diritti degli Stati o nel pro­cesso demo­cra­tico, e un attacco alla morale tradizionale.



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