L’Austria chiude il confine del Brennero ai profughi che sognano l’Europa

L’Austria chiude il confine del Brennero ai profughi che sognano l’Europa

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Brennero In commissariato non c’erano nemmeno mediatori: gli agenti e i migranti non si intendevano e così, per tradurre, i primi convocavano i pizzaioli nordafricani del paese. Alla stazione ferroviaria il sottopasso è diventato un orinatoio, uno sgabuzzino senza finestra s’è trasformato in stanza per dormire ammassati e su una panchina al binario 7 un ragazzo, l’eritreo Atalkati, 23 anni, con scarpe da tennis sproporzionate rispetto alla statura, ma quelle gli hanno dato e per quelle ha ringraziato, domanda quanto manca alla Germania. Vuole andarci a piedi: i migranti sbarcati in Sicilia, saliti a Milano e Verona, finiti in Alto Adige con l’idea di raggiungere altre nazioni, la Germania per l’appunto oppure quelle scandinave, più efficaci nell’accompagnare il percorso dei richiedenti asilo, non hanno alternative. Sui treni non possono salire, l’Austria «bloccando» la libera circolazione nell’Unione europea li spedisce indietro; e in macchina sono pochi gli spietati, avidi italiani che s’arrischiano a trasportarli. Almeno adesso. Per volere dei tedeschi, che sabato e domenica nel castello di Elmau, in Baviera, ospiteranno il G7 delle potenze economiche e sono preoccupati da un’invasione di anarchici, Schengen è stato sospeso e il confine sarà controllato fino a metà mese.
I controlli per la verità sono sulla carta, anche Vienna è a corto di agenti, ne sono stati registrati di rinforzo una trentina. Pattugliano il passo del Brennero con attenzione all’autostrada. Uno dei varchi preferiti dai migranti resta la statale che attraversa il paese, costeggia il centro commerciale e va verso Innsbruck. Non sono ancora battute altre vie, questa è la convinzione degli investigatori. Eppure nessuno esclude niente. Nemmeno la prossima riscoperta, nella vicina valle del fiume Isarco, dei sentieri voluti dal fascismo, decine di chilometri in salita attraverso castagni un mese fa sotto la neve. Ogni tentativo vale pur di superare la «frontiera». Anche se il punto di raccolta non è qui al Brennero, dove il Comune ha in allestimento una tendopoli. Bisogna tornare a Bolzano, che ogni giorno registra 100-150 nuovi arrivi di africani e siriani. La città ha confermato sindaco Luigi Spagnolli del Pd, 55 anni, in campagna elettorale critico nei confronti della Provincia, colpevole d’aver avallato l’idea dell’imprenditore austriaco René Benko, un milionario 38enne, di destinare ai migranti l’ex hotel Alpi, quattro stelle e sei piani. Iniziativa che secondo Spagnolli gli avrebbe tolto voti. Benko vuol riqualificare con un megastore la zona che dalla centrale piazza Walther ingloba l’ex hotel, un paio di palazzine e la stazione ferroviaria, affollata di migranti e di volontari, giovani e vecchi che hanno l’entusiastica energia dei neofiti. Raramente la città aveva vissuto una situazione simile. Per decenni l’immigrazione è stata su percentuali minime. Certe nazionalità non erano rappresentate. Ad esempio il Sudan di Habbas Adel, 29 anni, alla tredicesima settimana dall’inizio del viaggio. Habbas, che nell’agonia tra il deserto e il mare ha aggiunto all’arabo parole di francese e inglese, non ha intenzione di fermarsi. È convinto d’essere vicino alla meta: «La Svezia».
Dalla Questura ripetono che non c’è impennata di reati, ed è vero; ma i residenti leggono sui giornali locali le notizie di cronaca nera, lamentano un aumento dell’insicurezza e la pensano alla stessa maniera del sindaco quando dice: «Non neghiamo l’aiuto a chi ha bisogno ma non possiamo permetterci di essere troppo ospitali, altrimenti li ritroviamo tutti a Bolzano». Si capisce che il tema dei violenti sia periferico. Non importa che l’antiterrorismo di Trento abbia annunciato spostamenti verso Elmau di elementi da Rovereto, roccaforte del movimento anarchico, protagonista delle violenze del primo maggio a Milano; non importa che la polizia austriaca abbia l’elenco di targhe di macchine che transiteranno con a bordo gente eccitata dalle devastazioni. Dice Fulvio Coslovi, 48 anni, agente e segretario provinciale del sindacato Coisp: «L’immigrazione non è un problema di polizia però ormai è un problema dei poliziotti, dimenticati da uno Stato passeur che manda gli stranieri da una parte all’altra sperando che lascino l’Italia».
Andrea Galli


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