Gli screzi con Bruxelles e i ritardi sulla bad bank preoccupano i fondi stranieri

Gli screzi con Bruxelles e i ritardi sulla bad bank preoccupano i fondi stranieri

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«Quante armate ha Jean-Claude Juncker?», chiede un operatore di Piazza Affari. Nessuna o forse molte. Da una settimana, da quando lo scontro tra Matteo Renzi e il presidente della Commissione europea s’è arroventato, sembra che siano cannoni puntati contro la Borsa italiana. Direzione banche, che sono il settore più esposto alla volatilità e alla cattiveria di questi mercati di gennaio.

Da ieri tra le sale operative si parla apertamente di “caso Italia”, nello spiegare la caduta di azioni e bond creditizi. La pressione venditrice, anche degli speculatori, monta: stigmatizza voci e analogie (grandi novità non ci sono) per colpire le banche che sono percepite come più deboli e simili alle quattro salvate dal sistema il 22 novembre. Nell’ultimo mese, mentre le Borse riperdevano i guadagni dell’intero 2015 e le altre banche nostrane seguivano l’indice europeo Stoxx di settore (-16%), Monte dei Paschi ha perso il 36%, Banca Carige il 28%. E i loro prestiti quotati, specie i subordinati – del genere di quelli azzerati per un miliardo risistemando Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti – si sono deprezzati di pari passo.

Parlare di cospirazione straniera è esagerato. Di mancanza di visibilità e fiducia però no, entro un nuovo quadro normativo (quello del bail in, che fa pagare a soci e bond e correntisti la prima parte delle perdite bancarie) che ha scoperchiato vecchi problemi domestici. Il settore ha una redditività ancora vicina a zero, un fardello di crediti deteriorati da 350 miliardi per un decennio di crisi del paese, che ora cresce dello zero virgola. Così ieri per tornare a vendere è tornata buona una comunicazione datata 6 gennaio. Quando la vigilanza Bce, nel porre le cinque priorità del 2016, aveva indicato il rischio di credito, e scritto: «I crediti deteriorati sono fonte di preoccupazione in diversi paesi, specie quelli colpiti dalla crisi economica. Una task force sui crediti in mora sta esaminando la situazione sulle vigilate più coinvolte, e proporrà azioni aggiuntive».

Nei giorni successivi l’Eurotower ha anche inviato questionari agli istituti più oberati di cattivi crediti: riguarderebbe la gestione delle sofferenze e degli incagli, sia qualitativa (presenza o meno di unità specifiche, personale che vi opera, piani e tempistica di riduzione), sia quantitativa. In Italia, per esempio, dei 350 miliardi di crediti anomali solo 200 miliardi sono “sofferenze”, la parte che le banche giammai rivedranno; e sono coperte tra il 40% e il 60% dagli istituti. Poi ci sono gli incagli: nei bilanci 2014 c’erano 113 miliardi di euro di «esposizioni a soggetti in situazione di difficoltà obiettiva, ma temporanea». Con il passar del tempo, circa un terzo degli incagli diviene sofferenza, e la vigilanza chiede di triplicare le riserve sul singolo fido. Per non farsi troppo male, dunque, si stima che le banche italiane tengano quasi metà di questi 113 miliardi incagliati “in via temporanea” da un triennio. Banchieri d’affari e operatori stimano che più o meno metà degli incagli odierni saranno sofferenze entro il 2017, e per coprirli a dovere serviranno accantonamenti per una ventina di miliardi almeno. Sono numeri approssimativi, anche perché i dati in tema non sono troppo trasparenti (difatti Bce, Bankitalia e Consob stanno provando a elevare la qualità delle informazioni). Ma restano molti soldi: dove li troveranno le banche italiane? Oggi il mercato dice “non qui”, dato il clima l’attuale e le prospettive di remunerazione degli investitori.

Per queste ragioni ieri grandi fondi esteri come Blackrock o Norges, hedge funds, i piccoli speculatori e risparmiatori delle piattaforme online – la paura affratella – hanno venduto l’Italia. E per simili ragioni, banchieri e protagonisti delle istituzioni vedono come sempre più urgente il varo di un veicolo italiano per smaltire le sofferenze. La bozza presentata dal ministro Pier Carlo Padoan a Bruxelles giorni fa, dopo un anno di veti, è di “bad bank leggera”, con singole garanzie su richiesta agli istituti che le volessero pagare (a prezzo di mercato). Ma qualcuno, nelle istituzioni romane che contano, vorrebbe una mossa più coraggiosa da Palazzo Chigi: la bad bank tutta pubblica, che con una ventina di miliardi di capitale sappia ripulire sui tempi lunghi i libri degli istituti malati. Sarebbe uno stress test al coraggio di Renzi, perchè aprirebbe forse una procedura d’infrazione europea. Ma sarebbe la via diritta per rilanciare il credito e l’economia italiani.



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