In autobus con Sanders “Riprendiamoci l’America”
NASHUA (NEW HAMPSHIRE) «IL Super Bowl di domenica è uno sport da spettatori, la democrazia no. Dobbiamo riprenderci la democrazia, corrotta dal denaro, dai finanziamenti di Wall Street ai candidati ». Un boato si leva dal pubblico, 500 persone venute ad ascoltare Sanders nella palestra del Daniel Webster College. Studenti la maggior parte, e anche genitori, cittadini arrivati al campus universitario dalla vicina Nashua.
NEVICA FITTO, sono le 11 del mattino, è la prima tappa del Sanders-tour di oggi. Nashua, Manchester, Derry, Durham, Concord, cinque città, 120 km e cinque comizi prima che arrivi la notte. Lo seguo sul Sanders-torpedone giallo, viaggiamo scortati dai suv neri del secret service e dalle Jeep marroni degli State Trooper. È già quasi un corteo presidenziale: noi giornalisti siamo stati controllati per due ore dai servizi prima di imbarcarci nel giro del New Hampshire.
Chi glielo avrebbe detto al Bernie ventenne pacifista e hippy, o al Bernie quarantenne che si candidava in improbabili partitini di estrema sinistra della galassia extraparlamentare, o al Bernie sindaco di una tranquilla cittadina di provincia del Vermont, che avrebbe girato l’America in questa motorcade, corteo blindato dal Secret Service quasi come quello del presidente Obama?
Dieci ore di corse per le campagne bianche e gelate, niente pausa pranzo. È un tour de force per un 74enne, e non dei più atletici. Sanders s’ingobbisce quando sale sul palco e si avvicina al leggìo, tossicchia, ha la voce sempre più rauca da un comizio all’altro. Eppure anche qui al Webster College i ventenni sono in adorazione davanti a questo signore serio e severo, un po’ nonno un po’ professore, che racconta la favola magica della sua campagna elettorale: «Siamo partiti l’estate scorsa col 3% nei sondaggi, ora ci danno favoriti qui nel New Hampshire. Mi hanno detto che ero un pazzo a non crearmi un super-Pac (Political Action Committee), cioè uno di quei fondi dove legalmente possono affluire i finanziamenti dei miliardari. Oggi abbiamo centinaia di migliaia di volontari, tre milioni e mezzo di piccoli donatori. È così che comincia una rivoluzione politica: dal basso, quando siete voi a riprendervi la democrazia americana». Attraversando il New Hampshire per la maratona finale delle ultime 24 ore, Sanders martella l’accusa che tutti sanno rivolta a Hillary Clinton: «Se la banca Goldman Sachs paga milioni ad altri candidati, è perché si aspetta qualcosa in ritorno».
Il verdetto del New Hampshire stasera è particolarmente atteso, dopo il clamoroso pareggio dell’Iowa, dove la Clinton partiva favoritissima e Sanders l’ha quasi raggiunta. Ora è Hillary a smorzare le attese: «nel New Hampshire il mio concorrente è di casa, lui è senatore del Vermont, uno Stato vicino». La settimana prima del voto è stata segnata da un tamtam della sinistra intellettuale contro Sanders. Editorialisti di punta del New York Times come Paul Krugman e Nicholas Kristof, l’autorevole rivista progressista The Atlantic, la femminista storica Gloria Steineim, hanno lanciato l’allarme: la candidatura Sanders è una trappola, i repubblicani lo trattano coi guanti di velluto perché sperano di averlo in finale, poi lo faranno a pezzi denunciandolo come un pericoloso comunista, uno che alzerà le tasse a tutti, ucciderà il dinamico capitalismo americano soffocandolo con le ricette fallite dello statalismo europeo. È il fantasma della sua “ineleggibilità”, del “voto utile” per la pragmatica Hillary, quello che insegue il 74enne mentre corriamo sulle strade innevate del New Hampshire.
«Ma io — gracchia Bernie con quel poco che gli resta delle corde vocali — non ho paura di trattarvi come degli adulti, di dirvi le verità più sgradevoli: abbiamo una democrazia venduta e un’economia truccata, dove le regole sono fatte su misura per una minoranza di potenti. Voi lavorate sempre di più e guadagnate sempre di meno, i vostri figli rischiano di stare peggio di voi. Con Obama abbiamo avuto sette anni di crescita economica ma i suoi frutti sono andati per i due terzi all’un per cento dei più ricchi. E gli straricchi, lo 0,1%, controllano una ricchezza aggregata eguale al 90% della popolazione. Non dovrebbe essere questa l’America». Il suo programma ha contagiato perfino Hillary, che ormai gli copia tante ricette: raddoppio del salario minimo, riduzione del costo degli studi universitari, da finanziare con tasse su Wall Street. Sanders non schiva l’obiezione più seria di chi lo descrive come un radicale utopista, che non potrà mai conquistare la Casa Bianca. «Tante cose — dice — sembravano impossibili. I diritti civili dei neri negli Anni ’60. Poi li abbiamo conquistati, con le battaglie venute dal basso. E se 10 anni fa vi avessi detto che 50 Stati Usa avrebbero legalizzato i matrimoni gay? Mi avreste chiesto che cosa stavo fumando. Il che, tra l’altro, ci ricorda un altro terreno dove stiamo cambiando le cose…». I giovani ridono della battuta, si sgolano di gioia, vogliono continuare a sognare col nonno socialista e rivoluzionario. Questo entusiasmo, finora, è solo suo. Lo ha ammesso a denti stretti Hillary nel loro ultimo duello televisivo: «Piacerebbe anche a me, trascinare i giovani come sta facendo il senatore Sanders».
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