Dal confine francese al covo di Molenbeek i 120 giorni in fuga nel cerchio della jihad
LA Grande Caccia all’uomo più ricercato d’Europa è finita. Salah Abdeslam, nato il 15 settembre 1989 a Bruxelles, alto 1 metro e 75 centimetri, occhi marroni, capelli neri, responsabile della morte di 130 innocenti nelle stragi di Parigi, è stato arrestato nella città che, in quattro mesi, non ha mai lasciato. Bruxelles. Nel quartiere in cui era nato secolarizzato per poi radicalizzarsi. Molenbeek.
TRADITO da un vecchio cellulare di cui si era sbarazzato prima della mattanza del Venerdì 13.
E ora, guardando a ritroso, si scopre che come un Pollicino Nero, in questi centoventi giorni di fuga, ogni traccia possibile che aveva lasciato dietro di sé portava alla soluzione del rompicapo che tale, evidentemente, non era. «Si nascondeva in un’area di pochi chilometri quadrati, dove la logica e l’esperienza indicava che fosse», osserva una qualificata fonte della nostra Intelligence. «Aveva avuto la possibilità del martirio a Parigi e aveva scelto altrimenti — prosegue — Si era separato dalla cellula di saint Denis, abbandonando al suo destino Abdelhamid Abaaoud, il suo ring leader. Non aveva e non avrebbe avuto alcun senso che in questi mesi fosse andato a cercare rifugio altrove che non nell’unico luogo che conosceva e dove era certo che non sarebbe stato venduto». Basta guardare indietro a questi quattro mesi per capire.
IL RIGATTIERE
Sabato 14 novembre 2015, alle 9.45, una telecamera di sorveglianza di una stazione di servizio lungo l’autostrada A2, al confine franco-belga, ritrae Salah mentre fa il pieno alla Volkswagen Golf con cui i suoi amici, Mohammed Amri e Hamza Attou, lo stanno riportando a Bruxelles dopo le stragi della notte precedente. Il fermo immagine mostra Salah intabarrato in un giaccone nero. La testa scoperta. Un sorriso sul volto disegnato da una barba in crescita. Accanto a lui, Hamza. Le mani in tasca, il cappuccio di una felpa bianca tirato sulla testa. I tre uomini hanno eluso un controllo casuale della Gendarmerie francese per l’ottusità di banche dati che non comunicano e che lo hanno segnalato come pulito e, una volta arrivati a Bruxelles, si separano intorno a mezzogiorno. Salah sale su un’altra macchina, alla guida della quale è Lazez Abraimi, un marocchino residente a Jette (sobborgo della capitale) che si fa chiamare “le Brocanteur”, il rigattiere. Lascia Salah in place Emile Bockstael, non lontano dallo stadio Heysel.
Per venti giorni sarà la sua ultima traccia.
SCHAERBEEK
Nella seconda metà di novembre, un’informativa dei Servizi francesi segnala Salah diretto verso il confine olandese. È un’indicazione generica, non corroborata da altra informazione che non un’immagine di un’altra telecamera di sorveglianza di una stazione di servizio lungo l’autostrada che da Bruxelles porta a Rotterdam e in cui sembra di riconoscere Salah in un uomo dal volto coperto da un cappello con la visiera. Ma è una falsa traccia. Come quella che vorrebbe il Grande Fuggiasco in viaggio verso la Siria. A ben vedere, l’ultimo dei luoghi in cui può cercare rifugio dopo la condanna a morte che sulla sua testa di “martire riluttante” si dice avrebbe messo l’Is. Salah, infatti, non ha mai lasciato Bruxelles. Si nasconde al terzo piano di una casa all’86 di rue Henri Bergé, a Schaerbeek, il quartiere limitrofo alla sua Molenbeek. L’appartamento è stato affittato da Mohamed Bakkali (verrà arrestato dalla polizia belga il 26 novembre) ed è lo stesso che fa parte del network di covi su cui la cellula di Molenbeek ha potuto contare per la pianificazione delle stragi del 13 novembre. L’8 dicembre, quando la polizia belga irrompe nella casa, il rifugio è ancora “caldo”. Vengono trovate cinture da kamikaze, tracce di esplosivo e una messe di impronte digitali di Salah, che ha lasciato la casa 4 giorni prima, ragionevolmente allarmato da un’operazione antiterrorismo nel quartiere che insegue le tracce non della jihad, ma di una rete di trafficanti di armi ceceni.
FOREST
In gennaio e febbraio, Salah è di nuovo un fantasma. In realtà è ad appena 10 chilometri di distanza, mezz’ora di auto, dal suo ultimo rifugio di Schaerbeek. Lo nasconde in una casa di Forest, al 60 di rue du Dries, Mohamed Belkaid, un algerino di 36 anni, il suo altro fedele pretoriano. Quello che morirà armi in pugno per coprirne la fuga il pomeriggio del 15 marzo. Mohamed ha una falsa carta di identità, a nome Samir Bouzid. La stessa che, il 9 settembre del 2015, era stata controllata al confine tra Austria e Ungheria, durante un controllo di routine a una vecchia Mercedes a bordo della quale era proprio Salah. La stessa carta di identità utilizzata alle 18 del 17 novembre 2015, quattro giorni dopo le stragi, per bonificare da uno sportello Western Union di Bruxelles 750 euro a Hasna Ait Boulachen, la cugina di Abdelhamid Abaaoud. La donna che con lui morirà a Saint Denis nel blitz delle teste di cuoio francesi.
IL VECCHIO CELLULARE
Braccato, Salah trova un ennesimo riparo nella sua Molenbeek. Lì dove tutto è cominciato. Una famiglia gli apre le porte dell’appartamento di rue des Quatre Vents. Ma lui sa di avere le ore contate. Quel blitz a Forest, cui è scampato per un soffio, è stato l’esito di una complessa indagine della gendarmeria sull’ultima utenza utilizzata da Salah prima degli attentati. Dai tabulati, sono risaliti ai suoi contatti, e alle persone che chiamava più di frequente. Molte sono state perquisite, alcune sono state arrestate. Una è stata chiamata da Salah dopo la fuga sui tetti in seguito al blitz. In quella rubrica, infatti, c’è il “gancio” involontario che ha condotto la gendarmeria, grazie al sistema di geolocalizzazione dei telefonini, al covo di Forest. Forse è Mohamed Belkaid, o, più probabilmente, Amine Choukri, l’uomo arrestato ieri con Salah a rue des Quatre Vents. A Molenbeek. L’ultimo domicilio conosciuto del fuggitivo.
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