La frustata di Bonino al funerale di Pannella “Ipocriti certi omaggi”
ROMA Sabato 21 maggio, l’ultima volta di Marco Pannella nella «sua» piazza, piazza Navona. Il feretro è sopra il palco. C’è un sole abbagliante, gli altoparlanti diffondono il Requiem di Mozart, i turisti passano e non capiscono. Sono funerali questi? Così rumorosi, così colorati? E tutta quella gente sul palco? E’ la famiglia. Una famiglia «stonata dal caldo e dal dolore», la definisce la compagna di Pannella, Mirella Parachini. Una famiglia allargata, giovani e vecchia guardia, che piange la morte del leone pur attraversata da correnti fredde, nuove e differenti visioni di come far politica.
All’improvviso la divisione diventa plastica ed è quando dalle prime file si sente invocare un solo nome: Emma! Emma! Emma! Lei è lì, a due passi, sul palco, sempre più fragile. La si vede a stento, è seduta, gli altri sono in piedi e coprono la visuale alle telecamere che invece la cercano. Emma! Emma! Emma! Rita Bernardini, ex segretaria radicale, sta parlando e si interrompe, un po’ a disagio: «Sì, c’è anche Emma Bonino», dice. Anche lei, come tanti altri.
Prima la parola alla compagna, poi al giovane Matteo, vissuto in simbiosi con Pannella morente, dopo un po’ di jazz con la band di Carlo Loffredo. Eh però lo schema non piace a quelle ex ragazze militanti degli Anni Settanta che stanno sotto il palco: «Fate parlare subito Emma, è una vergogna!, siete dei talebani!». In gergo si direbbe: sfiorato l’incidente. A gran richiesta, Emma si materializza, Piazza Navona applaude forte quella figura esile che ha cose di sostanza da dire: «Pannella è stato irriso e deriso quando non vilipeso e penso che alcuni omaggi postumi puzzino di ipocrisia». Il generale clima di Amarcord le sembra togliere qualcosa alla lettura dell’ uomo e del leader, compagno di tante sfide: «Marco è stato molto di più di quello che leggo in queste ore. Voglio ricordare non solo l’aborto e il divorzio ma Sarajevo, e la sua battaglia contro l’esplosione del debito pubblico negli anni della Milano da bere, un debito che già allora si capiva sarebbe caduto su di voi giovani». C’è forza nella voce, c’è severità, c’è feeling con la piazza: «Me lo avete sentito dire tante volte: amateci di meno, votateci di più!». Emma! Emma! Emma! Al solito, si è preparata le cose da dire. Un intervento previsto nella scaletta? «Sinceramente non lo so».
Ci teneva a parlare, di fronte a quel feretro, di futuro: «Il sogno di Marco erano gli Stati Uniti d’Europa. Portiamolo avanti. L’Europa che vogliamo è quella del disegno gioioso di Ventotene, non quella che fa morire la gente in mare». Una lezione per chi verrà dopo, un’altra eredità lasciata da Pannella: «Il suo insegnamento più grande è il senso delle istituzioni, il senso della politica come scelta di impegno, non di affari». Ha finito. Le sue fans si tranquillizzano e battono le mani. Rita Bernardini, che l’ha rimproverata pubblicamente di non essersi riconciliata con Pannella nell’ultimo tratto di vita, assicura che il suo intervento era previsto: «Oggi parlano tutti».
Ed è vero che il congedo laico del vecchio leone sembra essere un affollato happening senza fine. Sul palco ci sono i detenuti (autorizzati) di Rebibbia, c’è il vecchio Gianfranco Spadaccia che parla direttamente a Marco, gli occhi puntati sulla bara («Da radicale a radicale che la terra ti sia lieve»), ci sono i malati di Sla, seguiti dall’Associazione Coscioni, ci sono i Rom presenti con i loro striscioni. Confusi tra la gente, ecco due ministri del governo Renzi: Marianna Madia, che non era nata ai tempi della festa per il divorzio a piazza Navona, e Andrea Orlando che va al microfono: «Non so se le cose fatte sul carcere le avremmo mai fatte senza due persone, Marco e il Papa ».
Riconoscimenti, riconoscenza. Francesco Rutelli, in questi giorni di sofferenza tornato alla casa madre, lo ammette: «Tanti come me allevati da Pannella non sarebbero stati nulla senza di lui». Quella bara, appoggiata obliqua sul palco, è una presenza forte. La Bernardini strappa il sorriso quando dice: «Guardate che Marco qui ci controlla ancora tutti. Non possiamo mollare le sue battaglie». Marco il visionario, Marco il combattente, voleva funerali così, dice Mirella, la compagna: allegri, con la musica, all’insegna dell’amato Rimbaud e «del ragionevole sregolamento di tutti i sensi». Forse con «un’eccessiva sbornia di elogi e complimenti», come ammette Spadaccia che però, più ottimista della Bonino, vede anche «l’omaggio del regime alle sue virtù».
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