Banca Etruria e le carte falsificate I pm indagano sul sì di Consob

Banca Etruria e le carte falsificate I pm indagano sul sì di Consob

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ROMA I funzionari di Banca Etruria hanno falsificato i questionari Mifid dei clienti alterando al ribasso la percentuale di capitale investito. E lo hanno fatto con la «copertura» della Consob. Nel prospetto informativo di oltre 150 pagine sull’emissione di obbligazioni straordinarie avvenuta nell’estate 2013 non era infatti specificata la percentuale di rischio dell’investimento. Nonostante questo la Commissione di vigilanza diede il parere favorevole.

Si concentra su questo sospetto il filone di indagine della Procura di Arezzo sulla truffa ai piccoli risparmiatori che ha tra gli indagati il direttore dell’area Finanza dell’istituto di credito e un altro dirigente della sede centrale. Ma approfondisce anche la bancarotta fraudolenta già contestata ai componenti del consiglio di amministrazione guidato da Lorenzo Rosi, in particolare per quanto riguarda oltre cento milioni di finanziamenti senza garanzie concessi a quattro grandi clienti.

I falsi investimentiI verbali dei direttori delle filiali raccontano di «ordini perentori arrivati dalla direzione generale affinché i bond fossero collocati sul mercato velocemente e nel maggior numero possibile». La situazione patrimoniale di Etruria era disastrosa, c’era bisogno di ottenere liquidi per cercare di ripianarla. E dunque, oltre alla circolare che suggeriva di rivolgersi a tutti gli investitori, anche quelli che non avevano il «profilo» adeguato, ci furono altre indicazioni. Una prevedeva di alterare i dati dei clienti. Finora si sapeva che erano stati modificati titoli di studio, professione, età. Ora si scopre che anche la percentuale di capitale investito è stata cambiata proprio per non far risultare l’altissimo rischio imposto. Addirittura in alcuni casi è stato scritto che il risparmiatore aveva speso il 15 per cento della propria disponibilità anziché l’80, 90 per cento come era in realtà.

La vigilanzaUna delega agli investigatori della Guardia di Finanza riguarda il ruolo della Consob. La documentazione già acquisita per ordine della magistratura dimostra infatti che il prospetto informativo compilato prima dell’emissione non conteneva tutte le indicazioni necessarie e dunque bisognerà verificare come mai sia stato concesso ugualmente il via libera alla collocazione delle subordinate sul mercato.

I pubblici ministeri vogliono verificare tra l’altro se il fatto che dall’organo di vigilanza non fossero state sollevate obiezioni possa avere in qualche modo agevolato anche la linea dei vertici di Banca Etruria di rivolgersi a tutti gli investitori. Ma dovranno anche accertare chi abbia fornito al direttore dell’area Finanza quelle disposizioni.

I fidi «scoperti»Le indagini sui comportamenti che avrebbero portato Etruria alla bancarotta si concentrano invece su quanto evidenziato nella relazione del commissario liquidatore Giuseppe Santoni. Uno dei capitoli esplorati riguarda i finanziamenti senza garanzie concessi a quattro grandi investitori su delibera del consiglio di amministrazione guidato da Lorenzo Rosi e dai vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi (padre del ministro Maria Elena), tutti indagati insieme ai componenti. Nell’elenco figura la Sacci spa che ha ottenuto un fido da circa 60 milioni di euro, la Privilege Yard con 20 milioni, la Isoldi con circa 7 milioni, la Hevea con altri 7. Nella relazione Santoni viene evidenziato «il ritardo nel rendersi conto delle sofferenze e nel recupero di oltre 100 milioni di euro». Soldi che avrebbero potuto portare benefici al bilancio e che invece non furono mai reclamati.

Fiorenza Sarzanini



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