Beppe Sala è sindaco di mezza Milano
Milano ha un sindaco, ma dimezzato (la metà dei milanesi non ha votato). L’incertezza non è il male assoluto ma è uno di quelli che inquieta di più. Beppe Sala e Stefano Parisi due settimane fa erano divisi da meno di 5 mila voti, per questo sono stati quindici giorni sull’orlo di una crisi di nervi. Lo choc emotivo è continuato fino a mezzanotte, anche se l’asticella delle percentuali attribuite fin da subito all’ex manager di Expo segnava un vantaggio di un paio di punti. È lui il sindaco di Milano. Non c’è un’aria di trionfo, c’è solo la sensazione di uno scampato pericolo. C’è chi all’una di notte suona il clacson in piazza della Scala. Sarà lo staff.
Qualcuno, appellandosi a un altro miracolo, come era successo nel 2011, ieri sera per scaramanzia aveva postato su facebook l’immagine di un arcobaleno che si è palesato in un cielo pieno di pioggia e sole. Solo una sbavatura di colore sbiadita, niente a che vedere col presagio che cinque anni fa salutò il trionfo di Giuliano Pisapia. Beppe Sala non ha trionfato, ha dovuto giocarsela alla pari con un avversario che era dato per spacciato. Questo è un dato che imprescindibile per decretare la crisi del Pd che non è riuscito a sfondare nemmeno in quella che considerava la sua roccaforte.
Beppe Sala si è rilassato verso l’una, quando 1064 sezioni scrutinate su 1248 davano un vantaggio ormai incolmabile: 51,79% contro il 48,21% del suo sfidante Stefano Parisi (circa 15 mila voti di differenza con circa l’85% delle sezioni scrutinate). Il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini è stato uno dei primi leader di partito a salutare la vittoria del manager di Expo, ha scelto la piazza fortunata ma comunque aveva solo un filo di voce, e poco entusiasmo, per dire che «Milano per noi è un risultato molto importante, ringraziamo Beppe Sala per la grinta e la carica che ha dimostrato durante la campagna elettorale». Molto più in forma il nuovo sindaco Beppe Sala. «Ho fatto i complimenti a Stefano Parisi, al di là di una giusta animosità devo riconoscere che ha ottenuto un ottimo risultato. C’è molta gioia e senso di responsabilità, sto ripensando a tutte le cose dette e allo sforzo che dobbiamo fare per trasformare in realtà ogni singola promessa fatta. Dobbiamo far sì che Milano abbia tutto quello che abbiamo promesso. Ho capito quanto sono importanti gli altri, ho vinto io ma hanno vinto tutti quelli che hanno lavorato con me, il fascino della politica è questo, la cosa gratificante è sentirsi portatore di una speranza. Abbiamo fatto una cosa straordinaria, questo risultato non era per niente scontato, abbiamo fatto molto bene gli ultimi quindici giorni, ringrazio tutti, i radicali, e tutti quelli che ci hanno creduto. Adesso dobbiamo dimostrare che possiamo mantenere le promesse, che le periferie saranno la nostra ossessione da domani mattina. Fra cinque anni vogliamo vedere la città di nuovo un po’ più bella». Oggi, come promesso, Mr.Expo andrà a pranzare in un asilo perché «Milano deve ripartire dai bambini».
L’astensione comunque è stata altissima, come è successo lo scorso 5 giugno: solo il 53% dei milanesi ha risposto all’ossessionante richiamo al voto del centrosinistra. Non è un dato da sottovalutare per un sindaco che è stato eletto da un milanese su quattro. E così un primo cittadino debole succede a Giuliano Pisapia, il sindaco più amato dai milanesi. Avrà sicuramente vita meno facile del suo predecessore.
Matteo Renzi a questo punto non potrà fare altro che rivendicare il «successo» di Milano. Non basterà, considerato il disastro di Roma e la clamorosa sconfitta di Torino. E sarà anche difficile raccontare la vittoria di Beppe Sala come una marcia trionfale, visto che il candidato del partito della nazione, dopo i successi di Expo, avrebbe dovuto stracciare qualunque competitor. Invece non è andata così. E quei pochi voti in più quasi sicuramente gli sono stati regalati da quell’elettorato di sinistra che secondo i piani di Renzi dovrebbe contare meno del due di picche (Sala, a caldo, ha ringraziato solo i radicali). L’elettorato di sinistra che si è fatto trascinare alle urne per paura di rivedere Gelmini-La Russa-Salvini si limiterà a tirare un sospiro di sollievo. Poi, per la sinistra, saranno cinque lunghi anni di splendida irrilevanza. Forse un po’ meno spaventati di prima.
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