Caño Indio. Guerriglieri e Procuratore Generale, la grande differenza

Caño Indio. Guerriglieri e Procuratore Generale, la grande differenza

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Conforta poter percepire direttamente l’animo dei guerriglieri e le guerrigliere delle FARC. Come ai vecchi tempi, la gente lavora senza sosta durante il giorno. Se i lavori progrediscono nella Zona Transitoria di Caño Indio e nelle altre Zone è grazie all’impegno e al sacrificio di quanti, guerrigliere e guerriglieri, stanno lavorando sotto il sole bruciante.

 

Tutti attenti alle istruzioni che ricevono, eseguono i lavori senza alcun timore. Sanno che in meno di quindici giorni avranno lasciato le loro armi e che in meno di due mesi saranno parte del nuovo partito o movimento politico legale, reinseriti nella vita civile e impegnati in compiti collettivi dai quali deriverà la loro sussistenza.

 

Aspettano la nascita di ECOMUN, la grande cooperativa nella quale si inseriranno i progetti socioeconomici che daranno le risorse sufficienti per la sopravvivenza del partito e dei suoi militanti.

Hanno chiaro che dovranno lavorare con disciplina e coesione per rendere tutto ciò possibile. Sanno che le cose non saranno facili, però che insieme ce la faremo ad andare avanti.

 

Possiedono la convinzione politica e una capacità di lavoro invidiabile. Sono donne e uomini giovani, pieni di vita e speranze, disposti a costruire con le loro mani un mondo nuovo. E a contagiare tutto il popolo con il loro entusiasmo. Non li intimorisce sapere che l’unica arma sulla quale potranno contare sarà la parola, né che il loro unico patrimonio sarà la loro volontà di lavorare.

 

Per questo è così offensivo l’atteggiamento del Procuratore Generale della nazione, Néstor Humberto Martínez. Nessuno meglio dei guerriglieri sanno quanto è costato costruire le FARC, senza nessun aiuto che non fosse lo sforzo degli stessi militanti. Hanno vissuto in clandestinità per oltre mezzo secolo, con risorse che ha costato la vita conseguire, la libertà o il sangue di molti di loro.

 

Sempre hanno tenute alte le bandiere della solidarietà, giustizia e uguaglianza. Tutto ciò che hanno fatto era indirizzato alla costruzione di una società nuova nella quale gli emarginati, gli esclusi, i poveri come loro, abbandonati e disprezzati potessero finalmente ottenere riconoscimento e potessero godere pienamente dei diritti che la loro condizione di essere umani merita.

 

Avevano bisogno di sfamarsi, vestirsi, curarsi, sanare le ferite, dotarsi delle cose necessarie alla vita errante sui monti, dovevano acquisire il necessario per spostarsi quando fosse richiesto, conseguire le armi, le munizioni, l’esplosivo e tutto il materiale richiesto per combattere una guerra.

 

Qualunque risorsa è risultata sempre insufficiente. Le necessità non finivano mai e con il tempo crescevano in qualità e numero. Per questo fu necessaria la costruzione di una economia di guerra. Acquistare bestiame per alimentare migliaia di combattenti, animali per spostare la logistica, terre e pascolo per sostenerle, veicoli per muoversi.

 

Con l’attacco permanente di un nemico impegnato in confiscare o distruggere tali beni. Un nemico che non ha mai cessato la sua persecuzione sanguinaria. Che ha incarcerato, assassinato, scacciato, sequestrato e che si è appropriato dei beni della popolazione contadina che sospettava anche solo minimamente di aiutare la guerriglia. Un nemico che prometteva lasciar senza cibo la guerriglia nel profondo della selva.

 

Adesso si è firmato un Accordo di Pace. Tutti, nelle FARC lo sanno e lo applaudono, insieme a milioni di colombiane e colombiani che salutano, per tutto ciò che significa, la fine del conflitto armato.

Dopo mezzo secolo di piombo e decenni di dialoghi frustrati, sono state pattate formule che rendono possibile un futuro diverso per questa patria ferita.

 

Tra queste formule ce ne sono varie che offendono il Procuratore Martínez Neira nel suo intimo. Una è la creazione della Giurisdizione Speciale per la Pace, JEP; un’altra la creazione dell’unità di indagine speciale per la lotta e persecuzione del paramilitarismo; e la terza l’inventario e la consegna dei beni che hanno costituito l’economia di guerra delle FARC.

 

La prima formula non piace al Procuratore perché con essa la Procura non potrà più perseguire giuridicamente le FARC per i fatti commessi durante il conflitto. La seconda perché l’unità speciale opererà in maniera autonoma nelle indagini sull’attività paramilitare durante il conflitto e nel post-conflitto. La terza perché non condivide la destinazione che avranno i beni delle FARC.

 

Il Procuratore ha annunciato che consegnerà 50 mila indagini penali già in corso contro la FARC. Ma che vuole continuare ad occuparsi di altre indagini, in aperta contraddizione con l’amnistia e l’indulto.

La sua ossessione con le FARC contrasta con il bassissimo numero di indagini contro agenti dello stato e paramilitari, che evidentemente non le interessano.

 

Con questo dimostra il suo totale disinteresse alla ricostruzione della verità sul conflitto. Il che viene confermato dalla sua resistenza all’unità di indagine speciale. Non condivide che un ente che non sta sotto il suo controllo possa portare avanti indagini che la Procura non ha compiuto in decenni di impunità. Che porti alla luce quello che lo Stato ha mantenuto nascosto sempre.

 

Si conosce il passato del Procuratore dedicato a difendere gli interessi dei grandi imprenditori. Come si vede il dolore che gli provoca l’idea che possano essere toccati alcuni o molti di loro. Allo stesso tempo protesta perché i beni delle FARC saranno destinati al risarcimento delle vittime. Assicura, senza provarlo, che si tratta di miliardi. E sostiene che la sovranità fiscale non può limitarsi.

 

A suo avviso, la incredibile fortuna delle FARC deve entrare nei forzieri dello Stato affinché questo possa disporre liberamente di essa. Si mette in dubbio la sincerità rispetto alla destinazione finale alle vittime. Non nasconde quanto gli piacerebbe che questi immaginari tesori fossero gestiti invece dalla banca privata e dagli imprenditori che ha sempre difeso.

 

Se el prezzo di un fucile si tassasse 20 milioni di pesos, sette mila fucili equivarrebbero a 140 mila milioni. Le armi nei depositi, il materiale esplosivo, i mortai, mitragliatrici e quant’altro sarebbero cifre esorbitanti. I beni mobili e immobili registrati e consegnati sicuramente aumenteranno il conto finale. Senza esagerazioni.

 

Nel frattempo i guerriglieri e le guerrigliere mantengono l’illusione di costruire un patrimonio legale con le loro mani nude, con la loro provata capacità di lavoro. Reclamano con giustizia che vangano date loro terre per poter realizzare i loro progetti produttivi, che vengano date loro risorse basiche per avviare tali progetti. Giocano pulito e non demordono.

Impari, signor Procuratore, e rispetti.

 

Caño Indio, 6 giugno 2017



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