Iran, 31 morti nell’attentato a una parata militare ad Ahvaz

Iran, 31 morti nell’attentato a una parata militare ad Ahvaz

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L’attentato di ieri ad Ahvaz ha il marchio di fabbrica dell’estremismo sunnita. I terroristi hanno colpito alle 9 del mattino nel capoluogo del Khuzestan, nel sudovest, mentre era in corso la parata dell’esercito in occasione dell’anniversario dell’invasione delle truppe irachene nel 1980. Mentre marciavano i corpi scelti dell’unità 92 dell’esercito (di Ahvaz), quattro terroristi vestiti da militari hanno aperto il fuoco sulla folla, sui soldati e sugli ufficiali sul podio. Il bilancio provvisorio è di trentuno morti (metà guardie rivoluzionarie) e una sessantina di feriti tra cui donne, bambini e giornalisti. Senza giri di parole, il ministro degli Esteri Javad Zarif ha twittato: «Terroristi reclutati, addestrati, armati e pagati da un regime straniero hanno attaccato Ahvaz, l’Iran ritiene responsabili di questi attacchi gli sponsor regionali del terrore e i loro padroni americani».

A RIVENDICARE l’attentato sulla tv satellitare Iran International che dà voce all’opposizione iraniana, è Yaghub Hor al Tostari, il portavoce del gruppo di estremisti sunniti separatisti Harakat an-Nizal al Arabi Le Tahrir al-Ahwaz (il movimento arabo per la liberazione di Ahvaz). Anche noto come al-Ahwaziyah, è un gruppo separatista panarabo e sunnita creato negli anni Ottanta per rovesciare la Repubblica islamica e dichiarare l’indipendenza del Khuzestan, di Bushehr e di Hormozgan, ovvero della sponda nord del Golfo persico. Un’espressione, quest’ultima, contestata dal gruppo indipendentista e dalle monarchie sunnite della penisola araba.

DUE GLI STRUMENTI usati dal gruppo: la guerriglia militare e gli attentati contro i persiani. È considerato un ramo del gruppo terroristico iracheno Jabhat al Tahrir (fronte per la liberazione) e il legame storico con Baghdad è dovuto al fatto che i suoi attivisti diedero una mano al dittatore iracheno durante il conflitto da lui scatenato il 22 settembre di trentotto anni fa approfittando della presunta debolezza di Teheran dopo la rivoluzione del 1979. Deposto Saddam, secondo le autorità iraniane il gruppo sarebbe oggi finanziato dall’Arabia Saudita.

SI RIACCENDONO così i riflettori su questa regione, dove si estrae il 90% del petrolio della Repubblica islamica. Qui, al confine meridionale con l’Iraq, vive il 2% della popolazione iraniana che, dal punto di vista etnico, è araba. Non è la prima volta che è teatro di attentati di matrice araba e sunnita. Nel giugno 2005 una bomba aveva fatto undici morti e ottantaquattro feriti. Gli attacchi s’intensificano durante la presidenza dell’ultraconservatore e nazionalista Mahmoud Ahmadinejad. Il primo settembre 2005 azioni di sabotaggio contro pozzi petroliferi e una fabbrica di zucchero avevano causato la morte di quattordici persone e il ferimento di altre centocinquanta. Il 15 ottobre 2005, poco prima del tramonto durante il Ramadan, il gruppo estremista aveva fatto esplodere una bomba sonora nel bazar, attirando gente per poi innescare il vero e proprio ordigno: sei morti e oltre cento feriti. Essendo questa regione popolata da arabi, molte vittime sono di questa etnia.

In quest’ultimo attentato, oltre alla rivendicazione del gruppo separatista c’è anche quello dello Stato islamico. Sarà importante capire chi sia il vero mandante: se è al-Ahwaziyah, vuol dire che nonostante le promesse elettorati per avvicinarsi alle minoranze, il presidente Rohani ha fallito e persino rinfocolato i separatismi; se invece si tratta dell’Isis, allora questo è il secondo attentato sul territorio della Repubblica islamica (dopo quello del 7 giugno 2017) e dimostrerebbe le difficoltà dei servizi iraniani.

UN DATO preoccupante, per l’Europa, riguarda poi il fatto che il leader del gruppo Habib Nabgan risiede in Danimarca mentre le sedi ufficiali sono, oltreché a Copenaghen, anche in Olanda e Svezia. Una domanda viene spontanea: quali interessi potrebbe avere l’Europa nell’accogliere sul proprio territorio i leader di movimenti terroristici che compiono attentati in Medio Oriente ma, all’occasione, potrebbero agire anche nel cuore del vecchio continente?

SALVAGUARDANDO comunque il diritto d’asilo, da troppe parti e da troppe pratiche messo in discussione in Europa, diventa allora necessario agire, laddove possibile, in collaborazione con le autorità di quei paesi che contribuiscono a combattere movimenti estremisti violenti come il sedicente Stato Islamico e non solo. Ma, ecco il punto, in collaborazione con l’Iran che, è bene ricordarlo, è invece sotto il tiro, economico e politico, di Donald Trump. Piaccia o no ai nostri alleati d’oltreoceano, questa collaborazione è una necessità a cui l’Europa non può sottrarsi.

* Fonte: Farian Sabahi, IL MANIFESTO



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