Dalle assicurazioni Generali uno stop al business del carbone

Dalle assicurazioni Generali uno stop al business del carbone

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Dopo due anni di campagna di pressione, condita da azioni e appelli pubblici, e di accalorati interventi all’assemblea degli azionisti, Greenpeace e Re:Common possono celebrare un risultato storico: le Assicurazioni Generali hanno imboccato la via d’uscita dal business del carbone.

È il primo grande player finanziario italiano a prendere una decisione del genere, in un Paese dove il tema del riscaldamento globale è stato spesso relegato in secondo piano e dove il recente allarme lanciato dagli esperti delle Nazioni Unite – «abbiamo 12 anni per salvare il Pianeta» – non ha suscitato la giusta attenzione, soprattutto nel mondo della politica.

Nell’aggiornamento della sua «Strategia sui cambiamenti climatici», il Leone di Trieste ha infatti introdotto un piano operativo che punta a ridurre con coraggio la sua esposizione verso il più inquinante tra i combustibili fossili.

In particolare, Generali ha ufficializzato che non fornirà più coperture assicurative per la costruzione di nuove centrali a carbone, senza alcun tipo di eccezione, e che non accetterà come nuovi clienti società attive nel comparto carbonifero.

Dal lato investimenti, Generali si libererà completamente delle sue partecipazioni azionarie nel settore del carbone entro aprile 2019 e progressivamente anche di quelle obbligazionarie, portandole a scadenza e valutando la possibilità di dismetterle anticipatamente.

«Generali ha deciso di compiere un passo importante in difesa dei cittadini. Abbandonare il carbone, come il colosso assicurativo italiano dimostra oggi di voler fare, significa voler fermare la più inquinante fonte energetica, nonché una delle principali cause dei cambiamenti climatici», ha dichiarato Luca Iacoboni, responsabile campagna energia e clima di Greenpeace Italia.

La decisione della più importante compagnia assicurativa italiana segue a distanza di poco più di otto mesi la prima stesura della «Strategia sui cambiamenti climatici», che però lasciava molto a desiderare, perché interveniva solamente sull’ambito investimenti e non su quello assicurativo.

Il lavoro di Greenpeace e Re:Common, “sostenuto” dagli attivisti che in questo lasso di tempo hanno partecipato ad azioni in varie località italiane, ha quindi convinto Generali a fare un importante passo in avanti sul tema della tutela ambientale.

E così per quanto riguarda l’utility polacca Pge, ma anche la ceca Cez, il Leone di Trieste ha reso noto di avere iniziato un «protocollo di ingaggio», la cui prima fase terminerà ad inizio 2019. Se entro allora queste due società non avranno presentato dei piani di transizione credibili, le «relazioni pericolose» con queste aziende saranno tranciate di netto.

È alquanto improbabile che la Pge, la principale compagnia energetica polacca, si possa ravvedere, dal momento che ha in programma di aumentare di 5 gigawatt la produzione legata al carbone.

Tanto per fare un esempio, l’impianto di Opole, che già emette 5,8 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, passerà così da 1.532 a oltre 3.000 megawatt di potenza.

Altri 5 gigawatt saranno sviluppati da altre aziende locali. Ammonta invece a 2,2 miliardi di tonnellate il totale della lignite che sarà estratta da nuove miniere a cielo aperto. A fronte di uno stop definitivo per il carbone che l’Unione europea vorrebbe decretare entro il 2030, c’è il rischio che con la sua espansione la miniera di Turów, fin qui assicurata da Generali, possa rimanere operativa almeno fino al 2044.

Val la pena ricordare che il 3 dicembre avrà inizio proprio a Katowice, nel cuore della regione carbonifera polacca della Slesia, la prossima Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici (COP 24).

«Scegliendo di non assicurare la costruzione di nuove centrali, incluse quelle in Polonia, Generali manda un primo segnale di rottura importante con l’industria carbonifera del paese», sostiene Alessandro Runci di Re:Common.

* Fonte: Luca Manes, IL MANIFESTO

photo: Di Johann Jaritz [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html), CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/) o CC BY-SA 2.5 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5)], da Wikimedia Commons



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