Medici senza frontiere. Aquarius, stop ai soccorsi: «Costretti a rinunciare»

Medici senza frontiere. Aquarius, stop ai soccorsi: «Costretti a rinunciare»

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«Il rapporto Frontex e poi l’inchiesta di Zuccaro, da lì iniziò la narrazione delle Ong come taxi del mare. In pochi mesi da angeli del mare siamo diventati complici degli scafisti»

«È un giorno buio. Non solo l’Europa ha fallito nel garantire la necessaria capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, ma ha anche sabotato chi cercava di salvare vite umane»: con questo post giovedì sera Medici senza frontiere ha annunciato lo stop definitivo delle attività per nave la Aquarius, con cui ha svolto operazioni search and rescue nel Mediterraneo fino allo scorso settembre insieme alla Ong francese Sos Méditerranée. L’ultima speranza era la Svizzera, ma il Consiglio federale ha rigettato la mozione della deputata socialista Ada Marra, che chiedeva di concedere la bandiera elvetica. «La nave Aquarius chiude le attività. Meno partenze, meno sbarchi, meno morti. Bene così» la replica ieri su Facebook del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Marco Bertotto, responsabile dei rapporti istituzionali di Msf, racconta come si è giunti a questa decisione.

 

 

 

 

 

Bertotto, perché non è stato più possibile utilizzare l’Aquarius?

Era ferma nel porto di Marsiglia da due mesi dopo aver subito per due volte il ritiro della bandiera: prima Gibilterra ha revocato l’iscrizione al loro registro navale e poi Panama. In entrambi i casi su pressione del governo italiano, che si comporta come uno stato dittatoriale che perseguita chi ritiene nemico. Inoltre sulla nave pende una richiesta di sequestro da parte del gip di Catania a seguito della nuova inchiesta su traffico illecito di rifiuti, accusa che rigettiamo totalmente. Siamo stati costretti a trarre le conseguenze.

Fermerete le operazioni di Ricerca e soccorso nel Mediterraneo?

Stiamo lavorando a una soluzione che ci permetta di tornare in mare con una nave e una bandiera differenti ma dobbiamo tenere conto che le condizioni sono radicalmente cambiate. Vista la perdurante politica dei porti chiusi, innescata dal governo italiano e dagli stati europei, decisi a criminalizzare i soccorsi, è necessario individuare una nave con maggiore autonomia.

Quando avete deciso di effettuare i salvataggi in mare?

A maggio 2015. Era appena finita l’operazione Mare nostrum e gli stati europei non l’avevano ancora sostituita con una nuova missione, i morti in mare si moltiplicavano e decidemmo di spostarci nel Mediterraneo. Allora c’era una piena collaborazione con la Guardia costiera italiana, che ci inviava continui ringraziamenti per il lavoro svolto. Dal 2016 abbiamo salvato oltre 30mila persone.

Quando è cominciata l’ostilità verso le Ong?

Se dovessi individuare un periodo direi tra dicembre 2016 e febbraio 2017, quando partì l’attacco attraverso il rapporto Frontex che ventilava un possibile aiuto da parte delle Ong ai trafficanti, rapporto poi in parte smentito ma la sua diffusione venne accompagnata dall’intervista al direttore di Frontex che alimentò il sospetto. Poi venne la prima inchiesta del pm di Catania, Carmelo Zuccaro, finita in una bolla di sapone, e da lì iniziò la narrazione delle Ong come taxi del mare. Quindi ci fu l’inchiesta della commissione Difesa del Senato, che ci ha portato al codice di condotta del ministro Marco Minniti e all’accordo per bloccare i migranti in Libia a luglio 2017. Fino ad arrivare ai porti chiusi di Salvini. In pochi mesi da angeli del mare siamo diventati complici degli scafisti.

Salvini considera un successo lo stop dell’Aquarius.

Il ministro accosta la nostra attività alle morti in mare facendo un’operazione scorretta, smentita dai dati. Il tasso di mortalità di chi tenta la traversata nel 2018 è stato del 3,12%, nel 2015 era dell’1,8%. Partono meno migranti ma ne muoiono di più e il numero cresce senza le Ong in mare. Senza testimoni non siamo neppure in grado di sapere cosa accade. Abbiamo denunciato un naufragio rimasto sconosciuto, più di 100 morti: l’hanno scoperto i nostri medici in Libia intervistando i naufraghi rinchiusi nelle carceri locali.

L’Ue è paralizzata dagli interessi dei singoli stati.

Le considerazioni politiche hanno preso il sopravvento sul diritto e sulle vite umane. Stiamo assistendo al fallimento dell’Europa. La fine delle operazioni dell’Aquarius e i respingimenti a opera della Guardia costiera libica sono considerati dei successi. Il cinismo di chi considera i respingimenti, e non i soccorsi, come un dato positivo dimostra che viviamo un tempo in cui si è persa la bussola. Perciò intendiamo continuare a richiamare il governo italiano e l’Europa alle proprie responsabilità: è inaccettabile che non ci siano operazioni coordinate di Ricerca e soccorso di alcun tipo, cosa che alimenta il lavoro degli scafisti producendo una crisi umanitaria nel Mediterraneo, la frontiera più pericolosa al mondo.

* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO



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