SEQUESTRO DI PERSONA è il reato che gli viene contestato, aggravato dall’abuso di potere e perché era consapevole che sulla nave militare c’erano 27 minori non accompagnati. Anche perché, sostengono i giudici, non c’era «un problema cogente di ordine pubblico per diverse ragioni» e in particolare perché in concomitanza con il caso Diciotti, «si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento». Non solo. «Nessuno dei soggetti ascoltati dal tribunale – si legge nella richiesta a Palazzo Madama – ha riferito, come avvenuto invece per altri sbarchi, di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di ‘persone pericolose’ per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale».
Non c’era alcun motivo, dunque, per trattare in quel modo i migranti costretti a ripararsi sotto tendoni di fortuna allestiti sul ponte per ripararsi dalla pioggia e dal sole d’agosto. Il ministro ha agito «per volontà meramente politica di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori invocando, in base a un principio di solidarietà, la ripartizione dei migranti a livello europeo tra tutti gli Stati membri». Insomma, Salvini avrebbe usato la Diciotti per il braccio di ferro politico con Bruxelles. Ma le scelte politiche «non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti».
Perché «l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare»: concetto che ribalta di netto la motivazione con cui il capo della procura di Catania, Carmelo Zuccaro, aveva chiesto l’archiviazione per Salvini sostenendo che «una scelta politica non è sindacabile dal giudice penale».
Il provvedimento inviato al Senato ricorda che anche la «stessa Corte Costituzionale, in diverse circostanze, ha avuto modo di evidenziare che la discrezionalità nella gestione dei flussi migratori incontra chiari limiti, sotto il profilo della conformità alla Costituzione e del bilanciamento di interessi di rilievo costituzionale, nella ragionevolezza, nelle norme di trattati internazionali che vincolano gli Stati contraenti e, soprattutto, nel diritto inviolabile della libertà personale (articolo 13 della Costituzione), trattandosi di un bene che non può subire attenuazioni rispetto agli stranieri in vista della tutela di altri beni costituzionalmente tutelati». Per i giudici «la decisione del ministro ha costituito esplicita violazione delle Convenzioni internazionali in ordine alle modalità di accoglienza dei migranti soccorsi in mare».
Prova a smascherare il ministro, Pietro Grasso: «Come membro della giunta per le immunità del Senato dovrò esaminare la richiesta del Tribunale dei ministri di Catania: Salvini ha dichiarato a tutta pagina, non più tardi di qualche mese fa, che avrebbe rinunciato all’immunità e chiesto al Senato di farsi processare. Ripete continuamente di essere uno che mantiene la parola: non ho dubbi che lo farà anche in questo caso. Vero?». Salvini sceglie la linea dura, attaccando i giudici. «Ci riprovano – dice in una diretta Facebook – Torno ad essere indagato per sequestro di persona e di minori, con una pena prevista da 3 a 15 anni. Manco fossi uno spacciatore o uno stupratore». Spavaldo, aggiunge: «Lo ammetto, lo confesso e lo rivendico, ho bloccato lo sbarco. E mi dichiaro colpevole dei reati nei mesi a venire, perché non cambio». Contesta persino la tempistica del Tribunale dei ministri, che ha deliberato il 7 dicembre, comunicando la decisione il 24 gennaio. «I giudici facciano i giudici, i ministri fanno i ministri ed esercitano i loro poteri», rincara salvini invitando il “popolo” a fare scudo: «Chiedo agli italiani se ritengono che devo continuare a fare il ministro, esercitando diritti e doveri, oppure se devo demandare a questo o a quel tribunale le politiche dell’immigrazione. Le politiche dell’immigrazione le decide il governo, non i privati o le Ong, se ne facciano una ragione».
* Fonte: IL MANIFESTO