La lotta paga, le donne di Italpizza vincono. Ma non votano l’accordo

La lotta paga, le donne di Italpizza vincono. Ma non votano l’accordo

Loading

È stata la vertenza simbolo del sistema delle finte cooperative prosperate in questi anni nella ex rossa Emilia. Dopo la Castelfrigo carni di Castelnuovo Rangone, ecco il gigante Italpizza alla periferia di Modena. L’azienda leader in Europa per le pizze surgelate: ben 100 milioni l’anno, impastate a mano e cotte al forno. E distribuite in oltre 50 nazioni al mondo.

PECCATO CHE A LAVORARLE nello stabilimento di 20 mila metri quadrati di San Donnino non ci fosse neanche un dipendente diretto della stessa Italpizza, che ne ha solo 120 fra amministrativi, manutentori e controllo qualità. Gli oltre 950 lavoratori che preparano le pizze sono dipendenti – e soci fittizi – di due cooperative a cui viene applicato il contratto Multiservizi – il famigerato strumento con cui i committenti risparmiano fino al 40 per cento del costo del lavoro rispetto al contratto degli alimentaristi.
«Vi piacerebbe sapere che chi fa le pizze che mangiate dovrebbe in realtà fare le pulizie?». Con questa verità condita da «turni anche da 12 ore con pochissimo preavviso, straordinari e festivi non pagati», è partita la protesta di una parte dei dipendenti di Cofano ed Evologica, le due finte coop che da anni lavorano in esclusiva per Italpizza. Sono in gran parte donne e – a differenza di molte altre realtà dello stesso tipo – sono di tantissime nazionalità diverse: tante africane, tante asiatiche, tante mediorientali.
La Flai Cgil già il 9 dicembre 2016 aveva inviato un esposto a Prefettura, Ispettorato del lavoro e Ministero dello sviluppo – organo competente per il controllo sulle cooperative – per denunciare l’errata applicazione dei contratti e il dumping salariale e sociale. L’effetto è stata una multa di 700 mila euro a Italpizza. Ma nessun cambiamento normativo. E dunque nessun miglioramento nelle condizioni in fabbrica.
La lotta delle lavoratrici è montata nel novembre scorso e si è acuita nei mesi primaverili. Lanciata dal Si Cobas per il licenziamento e poi il trasferimento di 14 iscritte, «poi reintegrate a fare le pulizie o a spalare la neve» – «giustificata» dalla Flai Cgil – è stata fatta con lunghi scioperi e con i picchetti all’entrata dello stabilimento per bloccare l’accesso delle materie prime e la distribuzione dei prodotti finiti.

AZIENDA E ESTABLISHMENT modenese – Pd e Legacoop in testa – hanno sempre sostenuto che le normative, le leggi, i contratti e i diritti dei lavoratori fossero rispettati. Spalleggiata dalla Uiltrasporti che a febbraio si accorda con l’azienda per lievi miglioramenti salariali senza cambiamento di contratto, Italpizza chiama le forze dell’ordine e accusa i Cobas – e la Cgil – di «disordine pubblico».

Minacce di querele – anche a questo giornale – ai sindacalisti creano un clima pesante. Ma per fortuna i lavoratori bocciano l’accordo separato fra cooperativa Evologica e Uiltrasporti. E la lotta continua. Ancora più forte. Ne fanno le spese prima Simone Carpeggiani, responsabile nazionale organizzazione dei Si Cobas, colpito da una ginocchiata da un agente che gli provoca la frattura, refertata, di quattro costole. Poi Marcello Pini, agguantato per il collo dalla polizia e portato via su una volante.
Le pressioni però alla fine hanno avuto la meglio. E una trattativa azienda-sindacati è partita. Si è conclusa a fine luglio con un accordo siglato da Cgil, Cisl, Uil con Italpizza spa, cooperative Evologica e Cofamo, Confindustria, Legacoop, Confcooperative. I Si Cobas non sono riconosciuti perché «non firmatari del contratto Multiservizi».
L’Accordo Quadro consiste in un percorso di reinquadramento contrattuale dei lavoratori in un periodo in cui Italpizza garantisce la stabilità produttiva e occupazionale del sito. Per i 589 lavoratori della cooperativa Evologica addetti alla produzione sono previsti due aumenti retributivi intermedi ad inizio 2020 e 2021, per arrivare nel 2022 all’internalizzazione dell’appalto e all’assunzione diretta da parte di Italpizza con l’applicazione del contratto nazionale dell’Industria Alimentare. Per i 245 lavoratori della cooperativa Cofamo si apre invece «un confronto specifico fino al 31 dicembre per definire le corrette applicazioni contrattuali». Per entrambi i gruppi è prevista un «una tantum» di 580 euro lordi con la busta paga di agosto a copertura del periodo 17 luglio – 31 dicembre 2019.
Dopo le assemblee, i due giorni di votazioni – 30 e 31 luglio – hanno dato questo esito: 954 aventi diritto, 610 votanti, 535 favorevoli, 66 contrari, 4 schede bianche, 5 schede nulle. I favorevoli sono quindi l’88% circa dei votanti. Si Cobas – ora con 50 iscritti, scesi per il clima di terrore instaurato dall’azienda, ha chiesto di non votare ma non ha fatto campagna contro.

LA VERTENZA SI È QUINDI CHIUSA con un paradosso: chi ha portato avanti la protesta non ha partecipato alla trattativa e non ha firmato l’accordo. «Per noi è un accordo al ribasso – spiega Eleonora Bertolato del Si Cobas – . Siamo contro lo spezzettamento tra lavoratori di serie A con il contratto alimentaristi ma nel 2022 e lavoratori di serie B. Furono Cgil, Cisl e Uil dei trasporti nel 2015 a far passare i lavoratori delle coop al multiservizi. Ora invece noi abbiamo dei “fogli di via” per 9 dei nostri delegati, ma il 27 luglio abbiamo vinto il primo ricorso», spiega.
«Per noi il risultato è positivo perché va nella direzione giusta – spiega Marco Bottura, segretario Flai Cgil di Modena – . È una prima tappa e così l’abbiamo illustrata ai lavoratori (gli iscritti in questi mesi sono passati da 60 a 200, ndr). Ci rendiamo conto che il 2022 è molto lontano ma siamo riusciti a garantire la sostenibilità produttiva del sito e la tutela occupazionale per tutti i dipendenti delle cooperative anche in vista della robotizzazione che può metterla a repentaglio». Il futuro di Italpizza infatti sarà – come già per tutti i suoi concorrenti – la meccanizzazione della produzione allargando il sito esistente.
L’accordo c’è. Ma ora sarà difficile gestirlo. Lo sanno tutti.
L’azienda – contattata dal manifesto – non ha voluto commentare.

***
Ruslana: «Festeggeremo quando saremo tutte uguali»

La lotta paga sempre. Il racconto in prima persona: «Sono del Si Cobas da quando hanno licenziato 14 tunisine e filippine perché si erano iscritte. Lavoravano perfettamente, si comportavano con umanità»

«Lavoro per la cooperativa Evologica da 4 anni. Il colloquio l’ho fatto a 28 anni nella sede di Italpizza. Mi hanno fatto il contratto da apprendista come socio-dipendente. Naturalmente con il contratto Multiservizi. Il primo mese ti mettono alla prova per vedere se resisti: fai il tappabuco per qualsiasi turno. Anche 13 ore di lavoro con pause brevissime da 10 minuti dove non riesci neanche ad andare in bagno. Prendevo 600-700 euro per 160-170 ore di lavoro al mese compreso il sabato e i notturni con preavviso di poche ore: fa meno di 5 euro netti all’ora. E per 10 mesi mi trattenevano anche i 50 euro di quota sociale alla cooperativa».
«Mi hanno messo subito al reparto farcitura. Mi avevano chiesto se avevo allergie. Stavo sulla linea ed ero piuttosto brava. Tanto che dopo poco mi hanno spostato al controllo della linea. Avevo una responsabilità su come andava la farcitura ma venivo pagata uguale».
«Andai a protestare. I capi di Italpizza mi dissero che era impossibile. Quelli di Evologica che Italpizza non vuole aumenti di stipendio. Comandavano loro, la cooperativa era finta».
«Mi sono iscritta al Si Cobas quando ho visto una cosa che mi ha fatto venire una stretta al cuore: 14 donne tunisine e filippine licenziate perché si erano iscritte a quel sindacato. Lavoravano perfettamente, si comportavano con umanità. Con loro e le altre dobbiamo parlare in italiano per forza perché sennò non ci capiamo: così si fa integrazione».
«Poi abbiamo deciso di scioperare. Mi hanno tolto subito la responsabilità del controllo di linea. Mi hanno fatto ridere: tanto non mi pagavano, cosa me ne frega della responsabilità?».
«Hanno iniziato a parlare male di noi: che eravamo “vandali”, “cattivi”, che avremmo fatto “chiudere la ditta».
«Lo scorso inverno abbiamo iniziato i blocchi. È stata dura. Peggio che lavorare. Ma quando capisci che ti fregano, che ti trattano come una schiava, la forza la trovi per stare al picchetto notte e giorno».
«Sono stata picchiata dalla polizia: manganellate, strattoni quando non facevamo passare i camion. Denunciata per resistenza e portata in Questura perché non avevo i documenti. Anche mio marito che è venuto ad aiutarci è stato picchiato».
«Io sinceramente non posso dire che abbiamo vinto. Sì, le cose miglioreranno. Ma finché non vedrò il nuovo contratto e i soldi – che poi sono 580 euro lordi, solo la metà netti – non dirò che va meglio. Avremo vinto veramente quando tutti avranno il contratto degli alimentaristi. Quel giorno sì che festeggeremo».

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO



Related Articles

Controllo a distanza su pc, tablet, cellulari Dipendenti nel mirino

Loading

Il decreto che attua il Jobs Act va in Parlamento Niente permessi per vigilare. Sindacati in rivolta

L’IMMATERIALE ALLA CONQUISTA DEL POTERE

Loading

Dopo ci siamo tutti svezzati a distinguere hardware e software, a fare a meno di carta, vinili, inchiostro, metalli. Così, oggi non c’è più bisogno di grande sottigliezza filosofica per capire che l’immateriale è reale, e a volte cruciale.

Fondo salva-Stati, vince la Merkel ok del Parlamento al potenziamento

Loading

E le Borse festeggiano anche l’accelerazione del Pil Usa.  Napolitano: la Germania conferma la sua vocazione europeista 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment