Coronavirus, Unione Europea a pezzi: un continente al precipizio

Coronavirus, Unione Europea a pezzi: un continente al precipizio

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Reazioni a Catena. Lo scontro è durissimo e a tutti i livelli. Al centro c’è il gigante riluttante: la Germania guidata da Angela Merkel. Sanchez (Spagna), Costa (Portogallo), Sassoli (Parlamento Ue): «Contro miopia e individualismo»

Al Consiglio Europeo di giovedì i 27 capi di stato e di governo si sono lasciati con un’intesa: quella di rinviare ogni decisione sulla crisi economica indotta dal coronavirus tra due settimane. E, molto probabilmente, non basterà un mandato senza indirizzo politico attribuito ai ministri dell’Economia per trovare una soluzione al falso dilemma: meglio il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes o «Fondo Salva Stati») oppure i «coronabond» ribattezzati «Eurobond» o «European Recovery Bond» (che significano cose diverse). L’incalcolabile costo di una recessione prodotta dal blocco della produzione, e le conseguenze di lunga durata di una crisi capitalistica di nuova generazione, possono essere affrontate con la costituzionalizzazione di un nuovo governo sovranazionale che comprenda, oltre alla modifica del ruolo della Bce come prestatrice di ultima istanza, una democrazia economica e sociale a livello europeo.

QUESTA, O ALTRE soluzioni, non sono alla portata di un compromesso tra i veri soggetti di un’ectoplasma politico chiamato «Unione Europea»: i governi in carica in questo momento. Erano anni che, su questa modesta scena, non si vedeva lo scontro che abbiamo raccontato già ieri. Nemmeno quello già esemplare tra Wolfgang Schäuble e la Grecia di Tsipras e Varoufakis, raccontato da ultimo nel suo libro «Adulti nella stanza» è paragonabile a quello tra Italia, Francia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Grecia, Irlanda, Portogallo e Slovenia, da un lato, e l’Olanda, l’Austria con la riluttante Germania di Angela Merkel sullo sfondo, ma senz’altro attore principale di questo stallo.

SE NON CI FOSSE di mezzo la crisi sanitaria, umana, sociale e politica più grave da 75 anni a questa parte in Europa, le due settimane per la ricerca di un’intesa su una combinazione tra un attore dell’austerità e un principio di mutualizzazione del debito a livello europeo, cioè tra «Mes» e «Coronabond», questa situazione sarebbe una roulette russa. L’unico senso che ha ora l’attesa di due settimane per ottenere un simile compromesso sembra essere la scommessa su un calcolo macabro: man mano che il contagio crescerà nei paesi fin’ora risparmiati dalla furia del virus, tanto più crescerà la possibilità di un’intesa. Non è più la vigliacca teoria dell’«azzardo morale» rimproverato dal weberiano spirito protestante dei capitalisti borghesi del Nord contro le presunte «cicale» mediterranee che spererebbero i soldi delle «formiche» aumentando il debito pubblico. La favola di Esopo è una rappresentazione falsa di un rapporto di interdipendenza e predominio economico-politico: i dominanti nei paesi fuori dalla Germania sono altrettanto spietati dei padroni che parlano la lingua di Goethe, le cicale hanno adottato le medesime riforme neoliberali delle formiche con più fanatismo, meno risultati, e con conseguenze ancora peggiori nel presente e in prospettiva. Questo rapporto sarà definitivamente sconvolto da questa nuova crisi che mette a dura prova i rapporti economici pre-esistenti, ma soprattutto la vita delle popolazioni, ora nell’emergenza e domani nella recessione.

PENSARE, in questo momento, di potere restaurare le vecchie condizioni dopo la crisi (le formiche) o ritenere di proseguire con i piccoli passi degli aggiustamenti timidi e sussurrati senza visione e senza politica (le cicale) significa alimentare altri compromessi, non trovare una soluzione per il futuro. La ricerca di una linea comune entro due settimane, nella speranza che la Germania trovi la quadratura del cerchio, avviene sul limite del nichilismo. Si sta scommettendo sulla conta dei contagi, dei guariti e dei morti, sull’evolversi continentale dell’infezione, sulle strategie per la mera sopravvivenza. A questo abisso morale è arrivata oggi la politica europea.

SEGNO DI UNA POLITICA incartata, la portavoce di Angela Merkel ieri è riuscita a dire che la Germania è solidale con l’Italia e la Francia perché sta accogliendo i pazienti che non possono essere curati nelle terapie intensive. Bene la solidarietà, ma non è solo questo che si chiede a questo paese. Ieri Merkel e i suoi alleati sono stati bersagliati anche dal presidente del parlamento Ue David Sassoli: «La miopia e l’egoismo di alcuni governi va contrastata». «La solidarietà non può essere una parola usata senza impegno, dev’essere provata con i fatti» ha detto Josep Borrell, alto rappresentante della politica estera Ue. «La scelta è fra l’Europa solidale e l’individualismo» ha detto il premier spagnolo Pedro Sanchez. Quello portoghese António Costa ha bollato la posizione olandese come «ripugnante e meschina». E il ministro olandese Wopke Hoekstra ha proposto di mettere sotto indagine gli Stati che non hanno margine di bilancio per fronteggiare la pandemia.

«IL GIOCO È SEMPRE lo stesso – ha detto ieri Romano Prodi, ex presidente della Commissione Ue – L’Olanda attacca e la Germania è quasi costretta a seguire. Il ministro olandese è un incubo». Ci siamo così svegliati il giorno dopo al punto di partenza di vent’anni fa. Gli «europeisti» si battono per un’opzione minimale, realistica, ma difficile da ottenere. I «nordici» non intendono condividere alcun rischio finanziario anche sotto i colpi di una crisi presentata come «esogena» dai parametri della loro visione dell’economia come fatto morale. Questa è invece una crisi di sistema che può travolgerli. Non ora, ma nel caso in cui saltassero quei paesi che ritengono oggi «colpevoli» perché indebitati.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto

 



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