Russia. Con la riforma «Putin forever», ma il referendum non è un plebiscito

Russia. Con la riforma «Putin forever», ma il referendum non è un plebiscito

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MOSCA. La mano invisibile che sovraintende tutte le elezioni in Russia ha tirato fuori dal cilindro il coniglio che Putin si aspettava: un 77% di sì e 23 % di contrari con un 67% di partecipazione per sancire le modifiche costituzionali che daranno la possibilità di Putin restare al potere almeno fino al 2036. Ma solo l’osservatore distratto può giudicare questo risultato come l’ennesima vittoria di quella «gioiosa macchina da guerra» che permette al presidente russo di trionfare in tutte le elezioni dell’ultimo ventennio.

Perché questa volta per vincere non sono bastati gli spin-doctors del Cremlino e si è dovuti passare attraverso una mobilitazione forzata senza precedenti nei posti posti di lavoro per far votare, e bene, elettronicamente, l’apertura di seggi per una settimana nei luoghi più impensabili (negli androni dei caseggiati, nei bagagliai di auto private, negli aeroporti), la distribuzione ai votanti di premi e buoni spesa.

IL TUTTO MENTRE TV e radio martellavano l’opinione pubblica senza concedere neppure un attimo alle ragioni del no. Rispetto alle presidenziali di due anni fa è sparita qualsiasi aura di legittimità al voto, il gioco è apparso truccato in nuce e ha finito per far sentire umiliata persino una parte dell’elettorato favorevole.

I dati locali, per quello che valgono, consegnano un quadro frantumato del paese: in tutta la Siberia il no è sopra la media federale grazie alla presenza di osservatori comunisti che hanno impedito brogli marchiani, ma appena si arriva nella Russia Europea è sinfonia imperiale con la Cecenia di Kadyrov, che porta in dote un 97,5% di sì facendo fare brutta figura al Daghestan e alla Crimea che si attestano solo al 90,5% dei consensi.

A San Pietroburgo, città da sempre a maggioranza liberal e dove gli exit poll davano il no al 57%, il sindaco Alexander Beglov, smaliziato quadro del vecchio Pcus regala al presidente un rotondo 77,6% mentre a Mosca, più sobriamente, viene concesso ai contrari il 33,6%. A sorpresa dall’urna viene fuori un 58,6% di no nel circondario di Nenets, non lontano dal circolo polare artico, dove è in corso da tempo una importante lotta della popolazione per non farsi inglobare nella regione Arcangelo, un’ultima chiamata nei confronti delle spinte ultracentraliste di Mosca.

LA DICHIARAZIONE RILASCIATA ieri nel pomeriggio da Putin è tutto meno che l’annuncio di quella trionfale cavalcata che si era immaginato quando aveva indetto il plebiscito qualche mese fa. Dopo aver ringraziato i sostenitori del «Putin forever» è stato costretto a dichiarare di «capire» i cittadini che hanno votato contro. «Abbiamo ancora molti problemi irrisolti: questo è vero. Le persone spesso affrontano ingiustizie, insensibilità e indifferenza» è stata l’onore delle armi concesso agli sconfitti. Anche nel campo dell’opposizione è tempo di bilanci. Di sicuro, negli ultimi giorni, non ha giovato alle ragioni del no la bizzarra idea dell’ambasciata Usa di proiettare sulla facciata del suo edificio a Mosca un immagine di Clinton con Eltsin. Quest’ultimo, ideatore della costituzione ora rimaneggiata da Putin, non gode certo, per usare un eufemismo, della simpatia dei russi. La maggioranza delle forze, dai liberali alla sinistra si era schierata per l’astensione. Tuttavia una parte significativa della gioventù ha respinto un approccio che è stato colto come un segnale di rassegnazione e si è presentata ai seggi.

NEGLI ULTIMI GIORNI Alexey Navalny, il blogger liberal-populista, aveva fiutato l’aria e costituito anche dei comitati per il no. Ad avvantaggiarsene, in un certo senso, sono stati i comunisti, schierati per il no nell’urna e da sempre acerrimi nemici di Eltsin. Il fronte della sinistra intanto affila le armi e chiama alla discesa in piazza per sabato: «si vuole imporre una nuova, dura, forma di fascismo al paese, ora deve iniziare la riscossa» ha annunciato il suo portavoce Sergey Udalzov.

* Fonte: Yurii Colombo, il manifesto



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