Perù, oggi il maestro Pedro Castillo diviene presidente

Perù, oggi il maestro Pedro Castillo diviene presidente

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Perù. Il leader di Perú Libre inaugura oggi il suo mandato quinquennale, tra speranze e timori. La sfida più difficile è la convocazione dell’Assemblea costituente, ma prima c’è da affrontare la crisi sanitaria e la povertà dilagante

Tra speranze e timori – le speranze degli ultimi, i timori dell’élite – il maestro e leader sindacale Pedro Castillo assumerà oggi, nel giorno del bicentenario dell’indipendenza del paese, la presidenza del Perù per i prossimi cinque anni. Lo farà sperando di conseguire, durante il suo mandato, un altro tipo di indipendenza: quella dai poteri neocoloniali che hanno condannato alla povertà tanta parte della popolazione.

Mai più poveri in un paese ricco, ha ripetuto Castillo in tutta la campagna elettorale. E un gesto significativo lo ha voluto fare subito, mantenendo la promessa di rinunciare allo stipendio presidenziale. «Guideremo i destini del paese con il salario da maestro», ha dichiarato sabato all’assemblea del suo partito Perú Libre, aggiungendo che proporrà al Congresso di dimezzare gli stipendi di ministri e parlamentari.

Più difficile sarà tenere fede alla promessa centrale della sua campagna: la convocazione di un’Assemblea Costituente che mandi al macero la Costituzione fujimorista del 1993, per elaborarne una nuova «che abbia colore, odore e sapore di popolo». Un compito per il quale Perú Libre dispone solo di 37 seggi su 130, più i cinque di Juntos por el Perú di Verónika Mendoza, a fronte della determinazione delle destre, pur frammentate, a fare muro in difesa dell’attuale Costituzione.

La critica situazione del paese impone tuttavia, nell’immediato, altre priorità: far fronte alla pandemia dando impulso alla campagna di vaccinazione, riattivare l’economia per rispondere agli alti indici di povertà, disoccupazione e precarietà lavorativa, sostenere l’educazione a tutti i livelli in un contesto in cui il 19% della popolazione tra 15 e 24 anni non studia né lavora. Tutto ciò con un Stato enormemente indebolito – rispetto al potere economico, ai gruppi finanziari e alle multinazionali estrattiviste – da 30 anni di neoliberismo feroce.

Tra le sfide principali non può mancare neppure quella di una nuova politica mineraria, in un paese – terzo produttore mondiale di rame, zinco e stagno e sesto di oro – attraversato da lotte permanenti contro i progetti estrattivisti. Soprattutto in un quadro in cui gli alti prezzi delle risorse minerarie da un lato e la disperata necessità di fare cassa dall’altro spingeranno inesorabilmente verso un’intensificazione del modello estrattivista, in direzione esattamente contraria alla richiesta di una vera transizione ecologica da parte delle organizzazioni popolari e dei popoli indigeni.

Una cosa tuttavia è chiara fin da subito: solo una sostenuta mobilitazione popolare a difesa del nuovo governo potrà arginare gli scontati tentativi golpisti del fujimorismo e, più in generale, dell’élite politica, mediatica ed economica, tanto più di fronte agli ampi poteri di cui dispone il Congresso per censurare ministri e destituire presidenti. Come indica bene la caduta, nel giro di appena due anni, di Pedro Pablo Kuczynski, Martín Vizcarra e Manuel Merino.

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto



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