COP26. Il sabotaggio dell’Arabia Saudita e delle lobby del petrolio

COP26. Il sabotaggio dell’Arabia Saudita e delle lobby del petrolio

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Assalto al cielo. La corposa delegazione delle lobby petrolifere condiziona le trattative

GLASGOW. La Cop26 rischia di essere un fallimento totale anche a causa delle manovre dietro le quinte del governo saudita, come denuncia Greenpeace International. L’Ong ambientalista ha infatti scoperto che venerdì scorso i negoziatori sauditi hanno provato a bloccare le trattative sulla redazione della cover decision, il documento finale che esprime il messaggio principale generato da una COP e che di fatto chiarisce qual è il risultato dei negoziati. Molti Paesi, specialmente quelli che potrebbero addirittura scomparire a causa della crisi climatica in corso, spingono affinché il summit di Glasgow si posizioni in maniera inequivocabile sul bisogno di accelerare gli interventi per contenere l’aumento medio della temperatura media globale entro 1,5 gradi.

Il governo saudita si è inoltre messo di traverso su un altro punto nodale, contenuto nell’Accordo di Parigi e in discussione al vertice scozzese: il raggiungimento di progressi sulle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici. Senza un passo in avanti al proposito, si rischia di non poter aiutare milioni di persone in tutto il mondo a far fronte agli impatti dell’emergenza climatica. La mancanza di un’intesa sul limite di 1,5 gradi e sulle politiche di adattamento costringerebbe quasi sicuramente i paesi più vulnerabili, compreso il blocco delle nazioni africane, a non firmare il documento finale.

«La spinta di venerdì sera per bloccare la cover decision è stato un colpo da manuale per diminuire l’ambizione del testo finale. È un comportamento assolutamente cinico, furbo e strategico. Gli altri governi devono ora isolare la delegazione saudita», ha dichiarato la direttrice esecutiva di Greenpeace International, Jennifer Morgan, che delle tattiche saudite ha un’ottima conoscenza, dal momento che ha seguito tutte le Cop degli ultimi 25 anni. La Ong ha anche dato una valutazione molto negativa della prima bozza del comunicato finale, profondamente annacquato proprio dalle tattiche di paesi come l’Arabia Saudita.

I negoziatori sauditi sono in grado di minare i negoziati perché ogni decisione richiede il consenso da parte di tutti i 196 paesi presenti. Di fatto un singolo governo può porre il veto sulle questioni in discussione. Nell’ambito dell’Unfccc le decisioni devono essere prese per consenso perché l’Arabia Saudita, sin dal Summit della Terra di Rio del 1992, ha sempre bloccato ogni ipotesi di decisione a maggioranza sui temi climatici. Non sorprende, visto che parliamo di un paese che possiede il 17 percento delle riserve mondiali accertate di petrolio ed è il più grande esportatore del Pianeta. Il settore petrolifero e del gas rappresenta circa il 50% del suo prodotto interno lordo e circa l’85% dei suoi proventi da esportazione.

Serve ormai un miracolo per salvare un vertice segnato da un’offensiva così aggressiva dei paesi produttori di petrolio come l’Arabia Saudita e dove, come ha riscontrato la BBC, la delegazione più corposa è quella composta dai lobbisti e dagli esponenti del comparto dei combustibili fossili.

* L’autore fa parte di Re:Common

Fonte: Luca Manes, il manifesto

 

ph by Suresh Babunair, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons



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Non cambia però il “no” al trattato di Kyoto (la Repubblica, MERCOLEDÌ, 07 FEBBRAIO 2007, Pagina 19 – Esteri)

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