Deforestazione: «L’Amazzonia a un punto di svolta catastrofico»

Deforestazione: «L’Amazzonia a un punto di svolta catastrofico»

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Glasgow. Uno studio di 200 scienziati. E il Cospe accusa: l’accordo siglato anche dal Brasile in difesa della foresta è greenwashing

 

L’Amazzonia è sull’orlo di un «potenziale punto di svolta catastrofico» a causa della deforestazione, del degrado, degli incendi e del riscaldamento climatico. È il grido di allarme lanciato da uno studio realizzato da 200 scienziati e presentato ieri alla Cop26. Secondo il rapporto, superare questo punto di non ritorno «potrebbe comportare una perdita permanente della foresta pluviale e un rapido spostamento dalla foresta pluviale agli ecosistemi aridi degradati con minore copertura arborea».

L’Amazzonia, afferma il rapporto, deve essere protetta e rigenerata ora con un divieto immediato della deforestazione in alcune parti della regione già a un punto critico e con l’obiettivo di fermare del tutto la deforestazione entro il 2030. L’allarme, l’ennesimo in difesa dell’Amazzonia è rivolto in particolare al Brasile di Bolsonaro (dove si trova il 60% della foresta in pericolo), presente tra gli oltre cento Paesi che, riuniti a Glasgow hanno siglato l’intesa per lo stop alla deforestazione entro il 2030. Un accordo che secondo il presidente dell’associazione Cospe, Giorgio Menchini, ha però «tutta l’aria di essere un’operazione di facciata utile a rifarsi un’immagine compromessa da anni di politiche scellerate». Per Menchini si tratta di «greenwashing per sedare le proteste delle strade. Non funziona. L’opinione pubblica è sempre più consapevole e pretende azioni concrete, impegni vincolanti e obiettivi ambiziosi all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Non conosciamo ancora i dettagli dell’intesa e come, in concreto, verrà implementata».

Nel solo mese di settembre l’Amazzonia ha perso ogni giorno un’area pari a oltre 4mila campi da calcio, più di 1.220 kmq, equivalenti all’intera superficie di Roma. È il dato peggiore degli ultimi dieci anni. Da gennaio a settembre, quasi 9mila kmq di foresta sono andati in fumo, il 39% in più rispetto al 2020. A causa di incendi e deforestazione, ogni anno il Pianeta cede un pezzo del proprio ‘polmone verde per far posto a coltivazioni di soia e allevamenti di bestiame, ma anche impianti minerari e pozzi per l’estrazione d’idrocarburi. Una caccia al tesoro che non si è fermata neanche di fronte alla pandemia». Un «contagio», aggiunge il Cospe, che minaccia la sopravvivenza stessa delle popolazioni indigene».

Per sostenere i «custodì della foresta», l’associazione lancia la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi con l’obiettivo di dare voce a chi non ne ha e realizzare progetti concreti di tutela e difesa ambientale. La onlus è presente da anni del bacino amazzonico con progetti di tutela e gestione sostenibile del territorio, difesa dei diritti e promozione del ruolo della donna. Con il nuovo progetto, sono tre in particolare i Paesi interessati. In Brasile, nella Riserva Estrattivista Chico Mendes, dove circa 3.500 famiglie vivono dell’estrazione tradizionale di castagna, caucciù e açai e lottano contro la deforestazione, la contaminazione da pesticidi e i continui tentativi di riduzione dell’area protetta. In Colombia, nel dipartimento di Putumayo, dove la comunità Ukumari Khanke è proprietaria di una riserva naturale di cui si prende cura. Infine in Bolivia, nel municipio di Riberalta, l’organizzazione umanitaria sosterrà l’Associazione Giovani Riforestatori in Azione (Ajora) in progetti di riforestazione e produzioni locali (miele, noce, cacao).

* Fonte: Marina Della Croce, il manifesto



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