Droghe. Conferenza governativa, timido il tentativo di cambiare pagina

Droghe. Conferenza governativa, timido il tentativo di cambiare pagina

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Genova. Al via la VI Conferenza nazionale sugli stupefacenti. Senza la cannabis. Forte contrasto tra gli interventi degli esperti e quelli dei ministri

GENOVA. L’impostazione della VI Conferenza nazionale sulle dipendenze che si è aperta ieri a Genova, è – per volontà della ministra alle politiche giovanili Fabiana Dadone – un timido, disperato ma non impossibile tentativo di affrontare il nodo delle sostanze stupefacenti e delle dipendenze in modo razionale e de-ideologizzato. E di voltare pagina rispetto all’ultima Conferenza tenutasi a Trieste nel 2009, quella dove, come ricordavano alla Fuoriconferenza degli autoconvocati, «si è celebrato il matrimonio tra patologizzazione e repressione» (Susanna Ronconi). Ci proverebbe, la ministra, a cogliere l’esortazione di «pensare alla grande» che don Andrea Gallo aveva espresso proprio qui a Genova vent’anni fa, alla terza conferenza governativa.

Il «prete da marciapiede» per eccellenza viene evocato in molti interventi, anche dall’arcivescovo di Genova che va giù diretto più di tanti ministri: «I tabù non servono più a nessuno», dice alla platea ammessa nella magnifica Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, affollata da prelati e divise d’ordinanza (ma i giornalisti non possono entrare). Il senatore azzurro Gasparri e l’ex Giovanardi (autore della legge carcerocentrica e incostituzionale che porta il suo nome), seduti in prima fila, soffrono, non applaudono mai, tranne che alla ministra Gelmini quando condanna la legalizzazione della cannabis. Ma la titolare degli Affari regionali, se non altro, evoca il tema tabù. Il referendum sulla legalizzazione della cannabis che ha raccolto 630 mila firme, infatti, non viene neppure ricordato dalla Conferenza governativa nata per fare il check alle politiche sulle droghe.
Chissà che non sia proprio questo il motivo per il quale la poltrona riservata al ministro della Salute Roberto Speranza rimane vuota. E, mentre intervengono dal vivo o con videomessaggi ben 20 tra ministri e rappresentanti delle istituzioni, Speranza non invia neppure un breve testo registrato di saluto.

IN QUESTO CONTESTO, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha gioco facile nel fare la parte del leone, quando dice che con «la tolleranza zero non si è certo vinta la guerra alle dipendenze», che è ora di smettere di strumentalizzare il tema droghe a fini elettorali, che «l’approccio meramente repressivo è stato pregiudizievole e respingente, e non si è fatto carico delle fragilità», che la questione droghe non riguarda solo i giovani e «le fasce vulnerabili della società», ma anche «le élite», e che auspica «una pietra tombale su una stravagante tentazione di immaginare una via solo italiana di lotta alle droghe». Perché «non possiamo ignorare» le nuove politiche europee, tanto più se «un partner importante come la Germania sta pensando di cambiare linea su questo fronte». La parola cannabis però non riesce proprio a pronunciarla (ma fa infuriare lo stesso Salvini che gli suggerisce di occuparsi di lavoro).

QUELLO CHE SALTA agli occhi nel primo giorno dei lavori della Conferenza intitolata «Oltre le fragilità» – che si conclude oggi con (forse) una bozza di relazione da inviare al Parlamento per una messa a punto della legge – è la forte distanza tra le dichiarazioni ingessate dei politici, quasi immutate nel tempo, che non restituiscono le trasformazioni totali cui abbiamo assistito in questi dodici anni, e i tavoli tecnici come quello sulla «Realtà penale e penitenziaria della dipendenza» coordinato da Leopoldo Grosso (Gruppo Abele), dove esperti del calibro di Cafiero De Raho (procuratore nazionale antimafia), don Ciotti (Libera), Patrizio Gonnella (Antigone), Luciano Lucania (Società italiana sanità penitenziaria), Mauro Palma (Garante nazionale detenuti) e Ferdinando Ofria (economista dell’università di Messina) mettono il dito nella piaga, chiedendo in modo netto e con dati, slide e studi dettagliati, la modifica dell’attuale Testo unico sulle droghe del 1990. Legge che, come fanno notare dal mondo dell’associazionismo, non ha affatto fallito, avendo ottenuto forse proprio quel risultato che i suoi estensori si proponevano: incentrare tutte le politiche sulle sostanze e non sulle persone; allineare ogni tipo di consumo alla dipendenza patologica, semplificare la questione anziché riconoscerne tutta la sua complessità, come sollecita Gonnella.

La ministra Dadone pone le scuse istituzionali per questi dodici anni di latitanza governativa, auspica di «arrivare alla stesura del piano nazionale di azione» e all’«innovazione di quello che oggi è chiamato ancora Dipartimento delle politiche antidroga, per provare a estendere la definizione di dipendenze». Spiega che a motivarla ancora di più sono stati alcuni tossicodipendenti e operatori recentemente incontrati, come quelli di «una comunità dove si usano metodi innovativi come l’arrampicata a scopi terapeutici», struttura che «ha espresso un solo auspicio: diventare un modello per tutta Italia». La ministra infatti la scorsa settimana ha visitato la storica Comunità semi-residenziale “La Tenda” di Roma, dove ha potuto verificare che senza fondi ad essere fragili non sono solo i tossicodipendenti ma anche chi se ne prende cura. In manovra, però, annuncia Dadone, «abbiamo già ottenuto due milioni di euro per la prevenzione alle dipendenze quest’anno, e due milioni per l’anno prossimo».

IN POCHI, PERÒ, sembrano seguirla nel suo timido tentativo di voltare pagina. Un supporto lo trova naturalmente nei suoi colleghi di partito, il presidente della Camera Fico e il ministro degli esteri Di Maio che ricordano l’immenso patrimonio gestito dal mercato illegale delle droghe e l’altrettanto grande danno procurato alle vite delle persone, e invitano a seguire le indicazioni delle organizzazioni internazionali nel contrasto ai traffici. Anche Cafiero de Raho, il procuratore antimafia che già auspicò la legalizzazione della cannabis per combattere le narcomafie, ha riferito ieri che «nell’ultima riunione della conferenza Onu si è espresso un forte orientamento di modifica alle politiche del proibizionismo», e ha indicato il testo di legge sulla depenalizzazione dei fatti di lieve entità firmato dal deputato di + Europa, Magi, come un «testo meritevole di considerazione». Peccato che dal governo, nella Sala del Maggior consiglio, non sia arrivato altro meritevole di considerazione.

* Fonte: Eleonora Martini, il manifesto



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