Rapporto sul mondo diseguale, prima e dopo il Covid

Rapporto sul mondo diseguale, prima e dopo il Covid

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World Inequality Report. In Europa il 10% dei più ricchi ha il 36% del reddito, il 58% in Medio Oriente. In America latina il 10% più ricco controlla il 77% della ricchezza e il 50% più povero solo l’1%

 

C’è la percezione di una grande stanchezza delle società, in Occidente in generale (e più particolarmente in Francia, all’inizio della campagna elettorale per le presidenziali di aprile), di una mancanza di prospettive che blocca l’azione e una visione del futuro condivisa, il tutto aggravato dalla crisi del Covid.

Da dove proviene questa situazione? Una spiegazione puo’ essere trovata nell’ultimo World Inequality Report 2022, il rapporto sulle diseguaglianze nel mondo, pubblicato oggi dal World Inequality Lab e coordinato dagli economisti Lucas Chancel, Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, un lavoro che ha coinvolto più di un centinaio di studiosi.

Le diseguaglianze sono diminuite sul lungo periodo, aveva constatato Piketty nel suo ultimo libro, Une brève histoire de l’égalité (Seuil, 2021): “L’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.

Ma dagli anni ’80 -’90, da quando c’è la libera circolazione dei capitali “senza alcuna contropartita in termini di tassazione comune, di regolazione, di trasparenza”, siamo “su una linea discendente che va verso sempre più separatismi fiscali, sociali”, ha constatato Piketty.

Da un lato c’è un movimento storico verso minori diseguaglianze, “ma la società del privilegio esiste sempre” e oggi si erge come un muro che crea scoraggiamento.

C’è la diseguaglianza di reddito, ma ancora di più di ricchezze, accumulate nel tempo e trasmesse in eredità. Le diseguaglianze nel corso dei secoli sono diminuite grazie all’accesso al lavoro, al reddito, alla scuola, alla salute, ma resta l’ostacolo della captazione di redditi e patrimoni da parte di coloro che già hanno di più e che solo una regolazione internazionale, una tassazione altamente progressiva e sostegni mirati possono far saltare.

Nel 2021 le diseguaglianze nel mondo sono come quelle esistenti nel momento di punta dell’imperialismo, all’inizio del secolo scorso

Il World Inequality Report constata che nel 2021 le diseguaglianze nel mondo sono più o meno uguali a quelle esistenti nel momento di punta dell’imperialismo, all’inizio del secolo scorso.

Secondo Lucas Chancel, “la crisi del Covid ha esacerbato le diseguaglianze tra i molto ricchi e il resto della popolazione. Nei paesi ricchi, gli interventi dei governi hanno evitato una crisi massiccia di povertà, ma non è stato così per i paesi poveri. Questo mostra l’importanza dello stato sociale nella lotta alla povertà”. In più, come si è visto alla Cop26, “la diseguaglianza economica globale fomenta la crisi ecologica e rende più difficile combatterla, è difficile vedere come possiamo accelerare gli sforzi per lottare contro il cambiamento climatico senza una maggiore redistribuzione del reddito e della ricchezza”. Per Chancel, “se c’è una lezione da trarre da questo Report è che la diseguaglianza è sempre una scelta politica”.

In questo quadro, l’Europa è l’area dove le diseguaglianze sono inferiori rispetto al resto del mondo. Il 10% dei più ricchi concentrano il 36% del reddito in Europa, cifra che sale al 58% in Medioriente.

Per quanto riguarda il patrimonio, che è un elemento che segna in modo particolare le diseguaglianze, in America latina, la zona più ineguale, il 10% più ricco controlla il 77% della ricchezza e il 50% più povero solo l’1%.

La Russia è ben piazzata nella lista dei più diseguali. In Europa, se consideriamo la concentrazione della ricchezza, il 60% è nelle mani del 10% dei più ricchi.

Le diseguaglianze sono aggravate anche dal genere (la parte del reddito delle donne in Europa, pur passata dal 31% nel 1990 al 38% attuale, resta inferiore a quella maschile).

I ricchi sono inoltre maggiormente responsabili del riscaldamento climatico, sia come paesi che come categorie di reddito e ricchezza (in Europa c’è una media di emissioni di Co2 di 10 tonnellate a persona, la media mondiale è di 6,6, mentre bisognerebbe calare a una tonnellata per rispettare l’impegno di riscaldamento di 1,5 gradi).

In Italia, le diseguaglianze sono diminuite nel XX secolo. Ma dagli anni ’80, le categorie più ricche hanno accumulato patrimoni e redditi, mentre in linea generale, tra il 2007 e il 2019, c’è stato un calo degli introiti delle famiglie, a causa delle politiche di austerità degli anni 2012-14.

C’è una concentrazione della ricchezza nel 10% più ricco al 48%, mentre la diseguaglianza di genere è più alta che nella media Ue (le donne hanno il 36%, cifra che avvicina l’Italia più al Nord America – il 38% – che ai paesi europei più avanzati).

Sulle emissioni di Co2, con una diminuzione di 3 tonnellate pro capite dagli anni ’90 a oggi, in Italia la media è di 9 tonnellate a persona, ma con una grossa differenza a seconda della posizione economica: i più ricchi hanno diminuito il loro contributo negativo al riscaldamento climatico solo di 8 punti, contro il 32% per i più poveri, costretti a limitarsi a causa del calo del reddito che hanno subito dagli anni ’90 a oggi.

* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto



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