EUFORIA ALLA NUPES. La sinistra arriva unita, con un’alleanza inedita conclusa dietro la France Insoumise in soli 13 giorni e 13 notti dopo le presidenziali, dove il leader Jean-Luc Mélenchon è arrivato terzo, con il 22% dei voti. «Eleggetemi primo ministro», come in un «terzo turno» delle presidenziali, ha subito chiesto Mélenchon ai suoi elettori, gonfiati dallo scatto del “voto utile” che avrebbe dovuto escludere Le Pen dal ballottaggio (senza riuscirvi).

La Nupes presenta un candidato unico nelle 577 circoscrizioni in cui è diviso il paese, la France Insoumise fa la parte del leone, ci sono una sessantina di candidati Ps, 100 Europa-Ecologia, 50 del Pcf, 360 per Lfi. Mélenchon, che pure non è candidato alle legislative, dopo le presidenziali è subito sceso in battaglia e ha sfidato Macron, prendendosi la scena: se la Nupes arriva in testa alle legislative il presidente dovrà nominarmi primo ministro e sarà costretto alla coabitazione (che ha avuto luogo sia con Mitterrand che con Chirac, ma a metà mandato, non appena rieletti).

Il Ps, uscito massacrato dalle presidenziali con l’1,75% di Anne Hidalgo (a Parigi, dove è sindaca, non è andata oltre il 2,2%) ha accettato di entrare nella Nupes, ma la vecchia guardia ha protestato, ci sono candidature dissidenti e c’è stato anche un ricorso alla giustizia per constatare la scelta, fatta senza convocare un congresso. Europa-Ecologia, che non aveva deputati nell’Assemblée uscente, spera di poter formare un gruppo autonomo. Le divergenze sono state messe sotto il tappeto, sull’Europa, la laicità, il metodo di governo, il nucleare.

LA NUPES HA PRESENTATO un programma folto e preciso, 650 misure: salario minimo a 1500 euro, 32 ore per i lavori usuranti, diminuzione del tempo di lavoro annuale, sradicare la povertà» con nessuno sotto la soglia di povertà, un assegno «autonomia giovani» di 1063 euro dai 18 anni, pensione a 60 anni, «biforcazione sociale e ecologica», riduzione del 65% delle emissioni di Co2 entro il 2030, obiettivo 100% di energie rinnovabili abbinate a «sobrietà e efficacia», investimenti massicci per sanità, scuola e tutti i servizi pubblici.

Accesso garantito all’università, un miliardo per combattere la violenza contro le donne, diritto alla casa, 1,5% del pil per la ricerca, rafforzamento dell’indipendenza della magistratura, fine dei procedimenti giudiziari contro i gilet gialli, legge contro la concentrazione dei media, superamento della V Repubblica. Riforma fiscale, tetto all’eredità. Un progetto di spesa di 250 miliardi l’anno, sottoscritto da 170 economisti, tra cui Thomas Piketty, ma contestato da altri, anche tra gli atterrés. Una campagna a tambur battente, che ha avuto un momento di difficoltà con le accuse alle forze dell’ordine – «la polizia uccide» ha affermato Mélenchon – in seguito alla morte di una persona in un tragico arresto a Parigi qualche giorno fa.

SUDORI FREDDI nell’area Macron. «Non aggiungiamo crisi alle crisi», tra guerra in Ucraina, transizione ecologica, inflazione e conseguenze del Covid, implora Macron, che dopo un lungo silenzio e un inizio di campagna svogliata da parte dell’alleanza Ensemble! (République en Marche, MoDem, Horizons) è sceso in campo negli ultimi dieci giorni per sostenere i suoi, promettendo aiuti economici a largo raggio e persino la creazione di un Consiglio nazionale della Rifondazione, associando forze politiche, sociali, di base, cittadini tirati a sorte.

Un colpo a sinistra (l’ecologia), uno a destra (pensione a 65 anni), Macron senza svelare un progetto preciso cerca di navigare nelle acque agitate del momento. Per il presidente, il rischio è di perdere la maggioranza assoluta e di essere costretto a fare alleanze di volta in volta con una maggioranza relativa, che darebbe alla France Insoumise, primo partito di opposizione, la presidenza della commissione finanze dell’Assemblea, un importante posto di potere. Se non addirittura di cadere nella coabitazione.

IL GOVERNO NOMINATO dopo le presidenziali rischia: ci sono 15 ministri candidati, a cominciare dalla prima ministra, Elisabeth Borne. In difficoltà due simboli della politica di Macron: Clément Beaune, ministro degli Affari europei, candidato a Parigi centro e Amélie di Montchalin, ministra della Transizione ecologica. Vale la regola non scritta che chi non è eletto deve lasciare la carica di ministro. La campagna è stata spenta e piena di trabocchetti: c’è stato il caso del ministro Damien Abbad, appena pescato dalla destra dei Républicains, accusato di molestie sessuali. Poi la polemica internazionale per il caos allo Stade de France alla partita della Champions League Liverpool-Madrid, una figuraccia mondiale sull’incapacità francese di gestire le folle (l’unica dottrina del Prefetto Lallement: usare i lacrimogeni).

L’ATONIA DELL’ESTREMA destra. La destra nazionalista arriva divisa alle legislative, il Rassemblement national di Marine Le Pen e Reconquête! di Eric Zemmour sono rivali. Sono stati quasi assenti dalla campagna. A parte qualche slogan liso di Le Pen. Per l’estrema destra, le legislative sono un problema: non hanno candidati validi, che possano tradurre in seggi il risultato delle presidenziali. Nella destra di governo, i Républicains, che sono stati sotto il 5% alle presidenziali, potrebbero risollevarsi un po’ grazie ai notabili locali e rappresentare così un possibile alleato di Macron, in caso di maggioranza relativa di Ensemble!

* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto